serva1Elisa 

Ricordo ancora mia nonna, quella sera d 'inverno del 27 dicembre 1957, con la mantellina nera sulle spalle e i piedi poggiati su is peis de sa cupa, col braciere che rosseggiava e riscaldava la piccola cucina in s'Ungroni  de is Coccus.
Da Natale infuriava la bufera e la vecchia volgeva ogni tanto gli occhi  al tetto su cui tambureggiava una pioggia insistente che dava voce alle tegole  e alle grondaie…ohi omu mia, si lamentava di tanto in tanto…ricordando la notte del novembre 1952, quando l'alluvione le aveva rubato la casa e i ricordi e lei si era rintanata furiosa con Dio  nella casupola che un secolo prima era appartenuta al nonno chirurgo.
Non so perché ma nannai, forse influenzata da quella sera cupa, mi racconto' la storia di Elisa, una ragazza di paese, che era andata a Cagliari a fare la serva ed era finita a  fare la puttana.
Ero troppo piccolo per capire esattamente il meccanismo che portava alcune donne a diventare "venditrici di  sesso" e molti uomini a comprare ciò che io vedevo fare serenamente  dalle bestie del mio cortile. Sapevo, per sentito dire, che anche i nostri genitori facevano sesso; e anche noi bambini qualcosa cercavamo di fare con le nostre  compagnette  di giochi…che quando andavamo dal prete per confessarci ci ascoltava severo e un po' divertito, poi ci metteva la manoin testa e ci faceva andare via con una caterva di preghiere come penitenza.Ma noi andavamo  via dal confessionale  col cuore leggero e, se non facevamo presto la comunione…ci ricascavamo in poche ore e ci toccava confessarci di nuovo…col prete che ci accoglieva con la faccia dura, come i clienti abituali che vanno a comprare a libretto e non saldano il conto. Mia nonna era sdentata come unu coipira e farfugliava un po', ma io capii e ricordo tutto.

"Elisa fudi una pippia ancora, quando perse tutta la famiglia in s'annu digiottu…quando in bidda morirono in tanti…la mamma la trovarono col bambino appena nato morto ancora attaccato al seno e lei con la bocca piena di terra, perché dalla fame si era ridotta a mangiare erba come le mannalisse. Elisa aveva a Cagliari uno zio, che le trovo' un posto di serbidora da un notaio…unu ecciu con tanti soldi quanto i peli della sua barba bianca…e lei si trovo' bene…puliva la casa, stirava, faceva da mangiare e, a tempo perso,
amoreggiava col padroncino di casa…unu piccioccu bellu commenti de unu frori, ma malu…malu de morriri.
Elisa ne era innamorata. Lo vedeva di nascosto nella stalla, lo ascoltava rapita mentre le raccontava le favole fatte di amori e di tesori…ma oltre qualche bacio non andava…non si eggiada, poita ka non fudi coiada e sensa sa benedissioni de su predi si fait pekkau.


Ma una sera, approfittando dell'assenza  del padre che era partito per alcuni giorni, il ragazzotto la convinse a uscire di casa e la porto' in giro per la Città.
Cagliari allora era bella, circondata da mura alte e con torri piene di cannoni…mica come oggi che le bombe l'hanno ridotta a inconis. Ed Elisa guardava felice l'animazione del mercato, le strade piene di botteghe e di artigiani che lavoravano all'aperto, le chiese piene di ori, i cavalieri in groppa a cavalli dal mantello lucente. Si era fatta sera e il ragazzo voleva convincerla ad andare in una locanda a passare la notte…ma Elisa, nudda, si non mi isposas…nudda. Il ragazzo insisteva, si faceva pressante, ma di fronte al deciso diniego di Elisa, le promise di sposarla…anzi, lo avrebbe fatto subito, così lei avrebbe ceduto al suo amore senza peccare.
Era quasi buio quando si trovarono di fronte a sant'Eulalia…una chiesa che ne faceva dieci di san Sebastiano di Cuccureddu…e li' il ragazzo chiamo' un prete che passava e la sposo' in una cappella nascosta vicino all'altare. Ohi filgiu miu, Elisa fudi sa pubidda e podis immaginai…ma il giorno dopo, quando chiese al marito di tornare a casa, dove sarebbe stata la padrona, il ragazzo scoppiò a ridere ed Elisa, ka non fut tonta, capì subito…era tutta una farsa, il prete era in realtà un compagno ribaldo del padroncino che si era prestato all'inganno, e lei era non una sposa amata ma solamente  una ragazza ingannata.

Elisa non fut una purdedda e investì il seduttore di male parole, poi gli si gettò addosso, gli graffio'  il viso tipu macittu aresti, e con uno
spillone tentò di cavargli  gli occhi. La gente assisteva  alla scena ridendo, ma la confusione fece accorrere dei miliziani, che arrestarono il ragazzo e consegnarono Elisa alle suore del vicino convento.
Eh, Ninneddu, non fini' bene. Il ragazzo fu frustato nella piazza del mercato…cinquanta corpus de sironia de ddu lassai mortu, e tres annus de imbarcu…ed Elisa, poboritta, dovette entrare come serva in una locanda di bia de is Barbaricinus, vicino alla porta di Stampace.
Fudi una digrassia mala! Perché,  poco tempo dopo Elisa divenne una di quelle…che gli uomini comprano e faint kussu ki olint.Scura, sensa mamma e sensa agiudu…fini'  per ammalarsi, de una maladia mala mala, de kustas femminas…e fu portata nell'ospedale di Sant'Antonio, in un reparto pieno di quelle donne. Stava per morire, povera Elisa, sola, e il prete le aveva già dato l'olio santo quando una mattina, nel delirio, le sembrò di avvertire vicino  al letto una presenza amica…l'unica dopo tanto tempo…e se lo vide davanti, quel ragazzo che le sorrideva passando in biginau col suo cavallo, gli occhi buoni e i capelli ricci in un volto devastato dal vaiolo
eppure dolce di giovinezza incorrotta.
Da quel momento Elisa guarì…commenti de unu lillu po' sant'Antoni…e lasciò l'ospedale e la vita passata per tornare in paese con quel ragazzo che l'aveva sempre amata.
La mamma di nannai  la ricordava bene. Abitava vicino a Funtanedda, dove aveva un orto…la ricordava con tre bambini belli come il sole…e col marito affettuoso che la trattava come una principessa. Nannai  mi disse che morì beccia manna, e pochi giorni dopo la segui' il marito,che senza di lei non sapeva cosa fare. Perché allora era così…si invecchiava insieme e insieme si moriva perché Deus non boliat genti sola in domus abbandonadas". 

Nannai tacque.
E sulle tegole del tetto, la pioggia ritrovo' d'un tratto la sua voce, il suo canto.

 
Tonino Serra .
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