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La faccia oscura della Luna: Marisa.


 

Non l’aveva riconosciuta.
L’ascoltava attenta, le mani rilassate sulla scrivania, e ogni tanto prendeva

qualche appunto.
Lui le spiegava il progetto di una piattaforma petrolifera
che avrebbe coniugato efficienza e sicurezza della tecnica estrattiva, si
infervorava tracciando diagrammi, gesticolava.
Quando fini’, Marisa esamino’ a
lungo senza parlare alcune pagine del progetto, poi lo scruto’ per una manciata
di secondi che all’ing. Cerasa sembrarono interminabili…il progetto e’ molto
interessante e la ringrazio per aver pensato alla nostra impresa, potrebbe
essere veramente la nuova frontiera nel campo delle tecniche estrattive, ma sa,
c’è un problema…lei e’ un uomo e da tempo la mia società assume solo
donne…mi dispiace.
L’ingegnere impallidì, guardo’ sconcertato la donna che
gli parlava con tono pacato da una distanza che gli sembrava siderale e si
chiese se avesse capito male…come sarebbe a dire, non prende in esame il mio
lavoro perché sono un uomo…roba da matti…
Non gli restava che raccogliere i
fogli sparsi davanti alla donna e andarsene. Si sentiva goffo, umiliato,
irriso…non gli era mai successo di provare un senso così cocente di
inadeguatezza.
La donna si alzo’ stendendogli la mano con una cordialità
esagerata e sorridendogli…con scherno, gli parve…buona fortuna, ingegnere,
mi creda, mi dispiace molto…

Appena la porta si chiuse alle sue spalle,
Marisa chiamo’ la segretaria…faccia bloccare l’ing. Cerasa all’ingresso e gli
dica di risalire da me perché ha dimenticato alcuni documenti sulla scrivania. E
quando pochi minuti dopo senti’ bussare alla porta fece finta di essere al
telefono…mi scusi, pochi minuti e sono da lei…

Marisa non era nata
manager.
Appena laureata in chimica era stata assunta in un laboratorio di
analisi cliniche, ma dopo tre anni di sedimenti urinari e di elettroforesi
proteiche, decise che ne aveva abbastanza e apri’ un ufficio di consulenza
tecnica sui sistemi di elettrolisi. Aveva messo a punto un geniale reattore
elettrolitico che consentiva il trattamenti e la purificazione dell’acqua e in
breve tempo si era conquistata una fetta di mercato, prevalentemente in uno
Stato dell’Africa subsahariana, di cui era orgogliosa. Ma, due anni dopo, un
colpo di mano militare l’aveva costretta a fuggire e così, in poche ore, aveva
perso tutto…anche i soldi che aveva stupidamente depositato in una banca
locale.
Era giovane, non aveva ancora trent’anni, era fiduciosa e si guardo’
intorno cercando lavoro.
Quando lesse sulla Stampa, che una grossa società si
preparava ad operare in Sudafrica nel campo della desalinizzazione delle acque
marine, non perse tempo. Spedì via email il curriculum e pochi giorni dopo fu
convocata a Milano per un colloquio.
Il responsabile dell’Ufficio Risorse
Umane l’ascolto’ con grande interesse.
La giovane chimica era preparatissima,
aveva le idee chiare, poteva essere utile.
Ma il giorno dopo Marisa ricevette
una telefonata che la gelo’…ci dispiace, lei ha una grande professionalità, le
sue idee sono apprezzabili, ma sa, c’è un problema…lei e’ donna e la nostra
società prende solo uomini…

Marisa torno’ in Africa, in Nigeria, nella
piattaforma galleggiante off-shore al largo di Lagos, in Port Harcourt, dove la
colonia italiana dell’Eni viveva protetta da guardie armate e pronte a tutto. Da
li’ si poteva scorgere il profilo della spiaggia di Tarkwa, un paradiso immerso
nell’infernale paesaggio di una città soffocata dallo smog.
A Marisa piaceva
quel luogo che odorava di petrolio. Era il suo mondo riconquistato dopo mille
fatiche. Era magra come un grissino e quando il selezionatore Eni le aveva detto
che…si’ era brava, ma per andare a Lagos bisognava essere forti e
resistenti…lei lo aveva guardato diritto con rabbia, aveva fatto chiamare la
bodyguard dell’ingresso, lo aveva invitato ad aggredirla e mentre l’uomo le
rivolgeva uno sguardo seccato, come se fosse una bambina fastidiosa, lo aveva
atterrato dolcemente in pochi secondi con un’impeccabile mossa di bujei.
Il
selezionatore era scoppiato in una risata divertita…ok, il posto e’ suo, ma si
calmi, eh…

Era entrata nella direzione della Compagnia dopo un’avventura
che poteva costarle cara.
Un gruppo di banditi era penetrato dal Benin e dopo
avere massacrato una decina di guardie del campo si era allontanato portando con
se’ cinque ostaggi tra cui Marisa. Ma quando si resero conto che i prigionieri
erano dei semplici impiegati e quindi inutilizzabili per ottenere il riscatto,
li uccisero a colpi di mitra. Avevano risparmiato solo Marisa, che capi’ subito
che fine avrebbe fatto…stuprata e uccisa. Disse freddamente che era malata di
AIDS e chiese di essere uccisa come i suoi compagni. Erano nella boscaglia, in
una zona pericolosa e, non potendo spararle, il capo dei banditi ordino’ ad uno
dei suoi uomini di portarla nella vicina foresta, di pugnalarla e di farne
sparire il corpo.
Il bandito spinse brutalmente Marisa in un viottolo che si
apriva tra l’erba alta e impreco’ quando la donna inciampo’ e cadde a terra…le
diede un calcio per farla rialzare, ma Marisa sembrava svenuta. L’uomo si chino’
per rimetterla in piedi e non fece in tempo a scansare un colpo di piatto alla
gola che lo tramortì…e non riuscì a difendersi quando Marisa gli circondo’ il
collo, come in un abbraccio.
Marisa avrebbe ricordato per sempre lo scroscio
del collo spezzato sotto le sue mani.
Prese solo la pistola del morto, poi si
inoltro’ nella boscaglia.
Si perse, e vago’ nella foresta per giorni, forse
per settimane, nutrendosi di tutto quello che poteva trovare…bacche, insetti,
serpenti. Fino a che non vide in lontananza l’oceano e su di esso la sagoma alta
e amica di una piattaforma petrolifera.
Poi, fece fatica a ricordare ciò che
era successo. Glielo raccontarono i suoi soccorritori.
Le guardie armate che
proteggevano la piattaforma l’avevano vista sbucare dalla boscaglia, coperta di
cenci, silenziosa. E una guardia stava per spararle quando lei, incapace di
parlare, aveva fatto qualcosa che le aveva salvato la vita…istintivamente,
forse pensando che stava per morire, si era fatta il segno della croce…e
l’uomo, sorpreso, non aveva tirato il grilletto.
Era una sorta di eroina, e
pochi mesi dopo divenne responsabile prima della piattaforma e poi dell’ufficio
centrale Risorse umane. A Milano.

L’ing. Cerasa aspetto’ venti minuti prima
di essere ricevuto.
Era furibondo. Si sentiva preso in giro da quella signora
magrissima, elegante e scattante come un’antilope…ma, lo intuiva, dura come
l’acciaio…e poi quegli occhi determinati…per un attimo gli sembro’ di
conoscerla, di averla già vista…
Quando entro’ nello studio, la signora gli
disse di accomodarsi.
Gli porse i fogli, che in realtà lei gli aveva sottratto
con abilità mentre leggeva il progetto…poi lo guardo’ senza sorridere, gli
punto’ contro l’indice come una lama…molti anni fa lei mi respinse, ma io ero
pronta a essere trattata come tutte le donne…uno scarto sociale…lei non e’
pronto neppure ora e questa mezz’ora di attesa le ha regalato una sofferenza
che non conosceva…il posto e’ suo…per il momento…poi si vedrà se un uomo
e’ capace di conservarselo..

Tonino Serra

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