Silvana

Si accorse della sua solitudine quando rispose meccanicamente al saluto di uno
sconosciuto, che le sorrideva, e ricordo’, un attimo dopo, che era il garzone
del fast food, dove ogni tanto comprava del cibo pronto…una porzione di
lasagne al forno dentro la vaschetta di alluminio, delle patate arrosto, qualche
polpetta al sugo col quale riusciva a condire anche la pasta, che preparava
velocemente in una cucina deserta e vuota come in tempo di guerra.

Silvana capi’ quel giorno che il marito l’aveva buttata via, come si butta una
lattina di birra vuota…un oggetto, una cosa inutile che disturba e non vale la
pena di conservare. E che da tempo non cucinava più e si accontentava di panini con insaccati, di un po’ di formaggio, del latte a lunga conservazione, dei sughi pronti, delle uova fritte e, appunto, di qualche cibo già pronto, che
mangiava tiepido in piedi, vicino al lavandino.
Tre mesi prima, dopo un banale bisticcio, in cui lei lo aveva insultato
rinfacciandogli di non portare a casa abbastanza soldi e di averla resa una
povera frustrata, Federico le aveva voltato le spalle, aveva lasciato le chiavi
di casa sul cassettone vicino all’ingresso, e in silenzio se n’era andato, così,
semplicemente…uscendo da quella casa, dove erano vissuti quarant’anni, come da un ristorante, in cui si e’ andati a cena e che non conta nulla nella propria vita.
Aveva pensato…aveva sperato…che non tornasse, come aveva fatto più volte, ma lui non era tornato quella notte. La porta era rimasta chiusa e così nei giorni seguenti e lei lo aveva rimosso dalla sua mente, dalle sue abitudini. In pochi giorni l’aveva dimenticato.

Per tre mesi era vissuta tranquilla, quasi felice, per non essere costretta a
stare nella stessa casa con quell’uomo ormai estraneo, che le ricordava solo
episodi odiosi…mai un giorno sereno, accettabile, a ben pensarci, ma un
susseguirsi angosciante di settimane e mesi e anni con la figura incombente di
quell’uomo, che aveva sposato per amore e che ora odiava.

Il saluto del garzone fu un ceffone improvviso alla sua terribile immobilità
mentale.
Senti’ le gambe molli e dovette tenersi al contenitore circolare delle cartacce
per non cadere. Poi si rifugio’ nel bar più vicino e sedette ad un tavolino
isolato. E si ritrovo’ a pensare, con una lucidità che veniva da altri tempi
della sua vita sventurata.
Fu come il sipario che si apre sulla scena, come il chiarore dell’alba che
sconfigge la notte, il calore del sole che scioglie la nebbia…e come il
gracidare di un corvo improvviso nel cielo silenzioso o il guizzo della donnola
che spezza l’ombra uniforme del sottobosco.
Silvana rivide la sua vita passata come una sequenza di immagini, non un film
veloce, ma un susseguirsi di slades…come quelle che usava quando teneva le
lezioni all’università.
Un tac e una via l’altra…i primi incontri…lei bellissima lui affascinante..i
viaggi insieme per mondi da scoprire…Parigi, Oslo, Boston, Rio, Bombay,
Tokio…i figli, che da anni erano andati via…le prime incomprensioni…lui
in giro a dirigere le orchestre più importanti di città grondanti di lusso e di
cultura, lui amato, invidiato, corteggiato e lei sempre più lontana, rancorosa,
gelosa, senza ruolo, immersa nel suo nichilismo e incapace di godere dei trionfi professionali del marito osannato…lui tutto, lei nulla…lei senza figli da
accudire, senza il ruolo di docente, senza il sorriso che ti segna il volto se
hai un futuro innanzi.
Aveva cominciato a tormentarlo rinfacciandogli le sue assenze, i suoi impegni
sempre più numerosi e pressanti…lo scherniva per le foto in frac che
corredavano gli articoli sui suoi concerti, ironizzava sulle critiche positive
accusandolo di averle comprate, gli elencava i suoi estimatori per screditarli
ed accusarlo di circondarsi di semplici cortigiani…poi si era inventata una
povertà inesistente, lo aggrediva se il conto in banca non cresceva al ritmo da
lei desiderato, lo accusava di sprecare i soldi loro…si, perché erano anche
suoi, non doveva dimenticarlo…
Federico inizialmente aveva cercato di farla ragionare, le parlava della
“sindrome da nido vuoto”, di gelosia da “deprivazione di ruolo sociale”, si
faceva carico anche di colpe inesistenti pur di non irritarla
ulteriormente…poi non le rispose più, la guardava in silenzio e senza ira e
piano piano se ne allontano’.
Non le disse nulla neppure quando lei, per creargli disagio, non attacco’ più la
lavatrice e una sera dovette tenere per un concerto la camicia sgualcita della
sera precedente…e da allora si arrangio’ portando la roba da lavare ad una
lavanderia vicina…maestro, come mai?…mah sa, non sono soddisfatto di come le stirano…ma da allora cambiava lavanderia ogni tanto, perché non le facessero domande che gli creavano disagio e amarezza.

Silvana sorseggiava un succo di pomodoro leggermente piccante, ma non poteva essere quello a farla piangere con lacrime improvvise e irrefrenabili. Il
cameriere si avvicino’ porgendole un fazzolettino di carta morbido, ma lei
lascio’ sul tavolino due mila lire e uscì veloce, come a fuggire da un
incubo…o da se stessa, dalla sua gelosia e dalla sua follia.
Aveva sbagliato tutto, doveva ricominciare tutto, sperando di essere ancora in tempo.

Federico dirigeva la Tosca.
Lei lo guardo’ e lo trovo’ di una bellezza divina.
Sul podio appariva elegante, ispirato, nobile. Le mani si muovevano lievi e
nervose tenendo tra le dita la bacchetta che ogni tanto catturava dei frammenti di luce. Gli spettatori assistevano rapiti, commossi….ecco Mario Cavaradossi in “Lucean le stelle”…con lo struggente addio alla vita.

Svanì per sempre il sogno mio d’amore…
L’ora è fuggita…
E muoio disperato!
E muoio disperato!
E non ho amato mai tanto la vita!…
Tanto la vita!…

Silvana applaudì in piedi tra una folla di spettatori in delirio…lui si
inchino’ leggermente in un bagno di luce bianca.
Si sarebbero accese le stelle, ancora una volta, sulla sua esistenza? E
avrebbero illuminato il ritorno di Federico verso casa? Non lo sapeva, non
poteva saperlo. Avrebbe atteso.

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