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Suggestioni: Feste di sangue.

Nel libro “Inferno”, Giorgio Bocca
descrive con linguaggio quasi brutale un fenomeno del passato, che e’
sopravvissuto a Napoli: la plebe, lo strato più miserabile e rozzo della
popolazione, privo di cultura e strumento passivo dei demagoghi.
Una popolazione amorfa, istintiva nelle sue passioni, feroce nei comportamento,
temibile perché imprevedibile.
Era la plebe vittima della repressione dei potenti, quando si stancavano dei loro eccessi.
Tenuta in condizioni sociali subumane, punita brutalmente se infrangeva le leggi, avevano però da tempo immemorabile un’occasione per dare libero sfogo al loro odio sociale, insultando i padroni e ridicolizzando il loro potere.
Era il Carnevale, ricordo mai scomparso del Saturnali dell’antica Roma, quando era sovvertito l’ordine
sociale: gli schiavi potevano considerarsi temporaneamente degli uomini liberi,
e come questi potevano comportarsi; veniva eletto, tramite estrazione a sorte,
un princeps, una sorta di caricatura della classe nobile, che veniva vestito con
una buffa maschera e colori sgargianti tra i quali spiccava il rosso: il colore
degli dèi, che venivano blanditi perché dispensassero alla terra raccolti
abbondanti.

Roma festeggiava da secoli il Carnevale, ma verso la metà del
‘400 i festeggiamenti furono concentrati nella via Lata, la vecchia via
Flaminia, perché il papa veneziano Paolo II volle valorizzare la sua monumentale
magione: Palazzo Venezia, che ancora oggi si affaccia in piazza Venezia, dove il
Fascismo celebrava lesse adunate di massa.
E siccome in quella strada si
tenevano le corse dei cavalli berberi, preso il nome di via Del Corso, che tutti conosciamo.
E fu li, per secoli, che si scatenava la crudele inventiva plebea.

Non contenti della corsa dei cavalli, nel rettifilo di circa 1.5 km si
svolgeva una singolare corsa di animali e uomini, ritenuti alla stregua delle
bestie, regolamentata dallo stesso Papa Paolo II con apposita bolla:
il primo martedì correvano i bambini cristiani;il mercoledì correvano i giovani
cristiani;
il giovedì grasso correvano i vecchi con più di 60 anni; il secondo
lunedì correvano gli asini; il martedì grasso correvano le bufale.
Ma il primo lunedì correvano gli ebrei, che prima della gara venivano costretti a
rimpinzarsi per renderli meno agili; e venivano costretti a correre anche nani,
zoppi, deformi.
Il popolo plebeo gioiva alla vista degli strani competitori e
non risparmiava loro salaci battute né il lancio di ogni sorta
d’oggetti.

Ecco, gli ebrei, usati come oggetto di divertimento, scherniti dai
cristiani. E furono loro, nel 1667, quando Clemente IX pose fine alla barbara
corsa, a vedersi accollare gran parte delle spese del Carnevale e subire l’onta
di una cerimonia farsesca con la quale lo stesso si apriva.
Il Rabbino Capo della comunità si recava in Campidoglio e inginocchiato davanti al Senatore e ai
Conservatori, cioè la pubblica amministrazione di Roma, pronunciava un discorso
di contrizione, al quale il Senatore rispondeva con le parole: Andate! Per
quest’anno vi soffriamo, rifilando al capo degli israeliti romani un calcio in
culo.
Non era un novità. Gli Ebrei scontavano da sempre le feste dei cristiani,
che li tolleravano, li usavano, li uccidevano quando volevano. Talvolta erano
protetti da qualche Papa illuminato, ma la regola era la totale discriminazione:
dovevano indossare una stella gialla…Hitler non invento’ nulla..potevano solo
commerciare in stracci e non potevano possedere beni immobili…ecco perché le
case del ghetto erano in rovina e dovevano convertire tutto in oro e preziosi,
che poi prestavano per sopravvivere, facendosi la fama di usurai.
Di sabato, giorno sacro alla loro religione, erano addirittura costretti a frequentare le
funzioni religiose, nella chiesa di Sant’Angelo in Pescheria, tra le rovine del
Portico di Ottavia. Poi ci si accorse che, prima di entrare in chiesa, molti di
essi si turavano le orecchie e turavano quelle dei loro figli con della cera;
oppure, simulando mal di denti, si fasciavano la testa.
Il Venerdì santo,
quando i cristiani ricordavano la morte di Cristo, per gli ebrei era l’inizio
dei giorni del terrore. Dalle chiese, dove i predicatori fanatici ricordavano la
crocifissione di Gesù da parte dei “perfidi giudei”, una folla esaltata si
riversava sui quartieri ebraici ponendoli a ferro e a fuoco, uccidendo,
depredando, bruciando sinagoghe e libri sacri.

Uno dei più fanatici predicatori antigiudaici fu Bernardino da Feltre, dei Frati Minori francescani.
Le sue prediche scatenavano i massacri, tanto che nel 1492 la Serenissima invio’
una missiva ai rettori di Brescia, dove il frate stava per giungere:
«Bernardino, mentre predicava a Padova aveva concitato il popolo contro gli
ebrei e perciò ne seguirono grandi tumulti, perturbazioni e scandali che
assolutamente non vogliamo credere si verifichino costi».
Ma Bernardino aveva
provocato una tragedia a Trento, nel 1475, quando la sera di giovedì santo, dopo
una sua predica tanto ambigua quanto profetica, venne trovato morto un bambino
cristiano, Simonino. Nonostante fossero tutti rinchiusi in casa (obbligo
derivante dal IV Concilio di Toledo del 633) vennero accusati gli ebrei di
averlo ucciso e di avere usato il sangue per riti segreti. Molti vennero
torturati, molti morirono, altri confessarono sotto tortura. Espulsi, i loro
beni requisiti andarono ad arricchire la Chiesa locale; e a nulla servi’
l’individuazione dell’omicida, che non era neppure ebreo.
Per la Chiesa retriva e fanatica non c’erano dubbi: e fece santo il povero Simonino col nome
di Simone di Trento. Si dovette arrivare al 1965 perché la Chiesa decidesse la
soppressione del culto e la rimozione della salma dalla chiesa di San Pietro che
la ospitava, con la conseguente abolizione anche della tradizionale processione
rituale per le vie di Trento con l’esposizione di presunti strumenti di tortura
degli ebrei usati nel presunto rituale contro il piccolo Simone (strumenti di
macelleria ed aghi per cavarne il sangue).
Ancora una colta, la Pasqua di
resurrezione e di pace diventava un rito di sangue.

La religione usata per
uccidere, una festa che diventa la caccia ai diversi.
Ieri la Pasqua cattolica,
oggi il Ramadan musulmano, una festa dedicata al digiuno e alla preghiera, che
fin dagli anni Novanta i fanatici hanno tramutato nell’esaltazione del massacro
degli infedeli cristiani e degli apostati musulmani.
Come Bernardino da
Feltre nel 1400, oggi l’Isis incita i fanatici alla violenza: “Il saggio e
l’intelligente aspirano alla jiahd durante il Ramadan…benedetto colui che
sceglie il Ramadan per farsi guerriero di Allah e fa di esso un mese di disastri
per gli infedeli”.
E durante questa festa, questi criminali dell’isis hanno
colpito: hanno ripreso Kobane per poche ore e poi ne sono stati cacciati non
prima di massacrare 250 innocenti; in Kwait un folle suicida si e’ fatto
esplodere in una moschea sciita uccidendo 27 persone e ferendone 227; in Somalia
hanno attaccato una base dell’Unione Africana, che cerca di pacificare la
regione, facendo 30 morti; in Tunisia, un terrorista ha sparato contro i turisti
sulla spiaggia uccidendone 39 e ferendone 36; in Francia, un franco-algerino ha
cercato di far saltare in aria un impianto del gas e ha decapitato il suo datore
di lavoro; ieri, nella siriana Hassalah, migliaia di cristiani sono stati
cacciati dopo il bombardamento dei loro villaggi; in Inghilterra avevano
intenzione di far esplodere una bomba come quella usata nella Maratona di
Boston.

Ho paura, non dei terroristi, che sono sempre esistiti, ma di essere
in guerra e di non averne percezione. Di non capire, come scrive Luciano
Violante, che “eravamo abituati ad un terrorismo senza guerra che affrontavamo
con misure giudiziarie o di polizia”; e che “se non entriamo nella dimensione di
una guerra, rischiamo di soccombere”.
Dobbiamo prepararci a mandare soldati
sul terreno, perché i droni non bastano più?
Siamo in grado di spendere di più
in armamenti ad alta tecnologia per affrontare questa minaccia? Possiamo ancora
sperare di affrontare la globalizzazione del terrore con gli strumenti della
politica o dobbiamo rassegnarci a dare risposte militari?
Non so, sono sconcertato.
Io sono per le armi, ma le guerre recenti hanno dimostrato i loro
limiti.
Ma come si può neutralizzare il nuovo nazismo se non impugnando le
armi?

 

Tonino Serra per Medasa.it

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