Suggestioni: Natale


epifania

 

Credo di essere uno dei ultimi ierzesi ad aver vissuto Paskigedda senza albero di Natale e senza Babbo Natale. Non perché a casa mia non si volesse fare l'albero o non passasse il buonuomo con la lunga barba bianca trasportato su una slitta dalle renne nel cielo invernale...no, semplicemente perché fino a mezzo secolo fa, a Cuccureddu, queste due componenti essenziali nel Natale non si conoscevano, non se ne aveva neppure notizia. Oggi la tv entra di prepotenza in tutte le case e ci fa conoscere abitudini e riti dei paesi più lontani, ma allora a Ierzu festeggiavamo solo Santu Jacu e sant'Antoni...le feste dei grandi...mentre per i bambini esisteva solo la Befana, che scendeva per i camini di tutte le case portando in dono fichi secchi, noci e qualche fazzoletto. I più fortunati ricevevano qualche giocattolo di latta...un aeroplanino coloratissimo, una gru col lungo braccio snodabile, una trebbiatrice come quella che nell'estate afosa risaliva i tornanti di Gennecresia e si fermava in su Concali, tra innumerevoli covoni di grano appena mietuto. Un anno rischiai di morire di felicità perché la Befana mi porto' in dono ben due libri..."Lo spino fiorito" e "La giacca di Taddeo"...con illustrazioni da fine del mondo, che ho ancora e avete visto pochi giorni fa nella mostra "La letteratura dell'infanzia". Oggi il Natale e' una festa complicata da parole d'ordine e da slogan politicamente corretti...pace, serenità, fratellanza...ma quando avevo dieci anni era una ricorrenza semplice, raccolta, sobria. Non aveva gli aspetti marcati della festa popolare come la Pasqua, che infatti era detta Paska Manna, preceduta dalle suggestive cerimonie del Giovedì santo con l'ultima cena e il lavacro dei piedi...de is mamudinus in chiesa, a ricordo dei tumulti che accompagnarono il processo a Gesù il venerdì santo con le processioni per strette vie addobbate di archi e vanugas antiche e colorate, o dalla veglia sul Cristo morto, tra i pallidi vasi di nenniri, per il Sabato santo in una chiesa parata a lutto con le croci e le statue velate di nero...o da s'Incontru commovente tra il Cristo risorto e la Mamma che lo cercava. E poi il ritorno in chiesa, tra canti femminili cui rispondevano dall'altra navata quelli degli uomini, in una divisione fisica che risaliva all'epoca bizantina. La Pasqua era di primavera e spingeva a riti pubblici, sotto la luce tersa di cieli azzurri. Il Natale era d'inverno e l'aria di neve costringeva la gente nelle proprie case. Due feste importanti, diverse per il clima non solo atmosferico, ma religioso. Perché tutti allora eravamo intimamente religiosi, capaci di pensare che esisteva l'al di la', dove avremmo ripreso i sentimenti interrotti, i banchetti spezzati, le vite dilaniate dalla vita. E la spiritualità del Natale erano le novene, con i canti che salivano sotto l'antica volta della chiesa ancora intatta nelle sue forme cinquecentesche..adeste fideles...quante voci scomparse... Il cenone di Natale non esisteva...un altro rito oggi comune che allora era sconosciuto. Esisteva però l'abitudine di riunirsi tra pochissime famiglie, vicine di casa o vicine per affetto. Per me la notte di Natale significavano siu Fidelicu Contu e....is piringionis, come vi dirò. Verso le undici lasciavamo casa mia immersa nel buio...un piccolo andito su cui dava una cucina con un grande camino e una cameretta dove dormivo con le mie tre sorelle, mentre s'apposentu dei miei genitori era al primo piano...vi si arrivava con pochi gradini di lavagna, e più in alto si arrivava a su Sostru, che custodiva le provviste per l'inverno. Esisteva, ed esiste tutt'oggi, un seminterrato col forno e col pollaio e un angolo più caldo per le capre mannalisse. Le capre sentivano che la famiglia usciva di casa e belavano preoccupate...quella Notte Santa per loro era semplicemente l'abbandono dei padroni e avevo il mio daffare a rassicurarle con un'ultima carezza. Andavamo, nella notte illuminata da qualche rara lampadina sugli alti pali ai lati della strada, verso s'Arcu 'e su Molinu, da siu Fidelicu, vicinissima alla casa di detta Mereu, che si diceva che andasse con i morti. Siu Fidelicu e sia Orrosa vivevano in una casa oggi in rovina, ma a quei tempi spaziosa e di qualche pregio. L'ampio portone, dove un tempo passava il carro, dava in un andito, col pavimento di cemento lucido, su cui si apriva la cucina con l'ampio camino illuminato dal fuoco di grossi ciocchi de tuvara. La cena era spartana...sartissu e tratalia, poi fichi secchi...mentre siu Fidelicu si lanciava in barzellette spinte, dove un prete si faceva tutte le monache di un monastero. Mammai cercava di distrarci raccontando delle storie...che impallidivano di fronte a quelle di siu Fidelicu. Dieci minuti prima di mezzanotte, mammai e sia Orrosa ci portavano in chiesa, mentre gli uomini restavano a casa sorseggiando vino e mangiando noci. Ricordo notti di gelo scendendo verso Barigau e qualche volta gli ampi fiocchi di neve che spezzavano il buio catturando rari raggi di luce...e poi, is piringionis, appunto, i geloni che per il freddo mi devastavano le mani con un prurito terribile. La chiesa di sant'Erasmo era calda dalla folla che riempiva la navata centrale e quelle laterali, più basse e buie. Ricordo i canti, le luci, il Bambinello in una cesta di paglia, che ci veniva porto da baciare. E poi i canti in sardo...dormi vita e coru e riposa a ninnia...e Tu scendi dalle stelle. Un popolo in festa, ma raccolto, senza esultanza. Un popolo serio, di gente che lavorava e soffriva la vita ogni giorno. Chissà perché si ha l'abitudine di dire che allora eravamo più poveri ma più felici. Non credo sia così...eravamo più poveri, e oggi diciamo che eravamo felici solo perché ricordiamo che allora avevamo famiglie intatte e affetti saldi non frantumati dai lutti o dalle incomprensioni. La povertà rende infelici e rende cattivi i più sfortunati. Oggi ho attraversato una Città deserta per andare a pranzo da una famiglia amica. Potevo riconoscere lo stato di benessere dei diversi quartieri solo osservando i cassonetti dell'immondezza...traboccanti di carta colorata, patinata, festosa nei quartieri ricchi, quasi vuoti in quelli poveri...resti di pacchi-dono, talvolta di sprechi impietosi verso chi ha appena da sopravvivere. Penso ai bambini e ai loro volti in attesa...sono felici quelli che non ricevono doni per Natale, i figli dei minatori senza lavoro, delle famiglie in crisi che non sbarcano il lunario, dei disoccupati?...di chi non esce di casa per non dover pagare un caffè...di chi non ha i soldi per comprare un regalo da presentare ai propri figli annegando la tristezza nei loro occhi felici sotto l'albero di natale scintillanti di luci...sono, possono essere felici? No, non siamo più felici...non lo siamo nel nostro cuore se siamo circondati dalla povertà. Eppure, noto dietro ogni finestra il luccichio degli alberi di Natale...in ogni quartiere, nelle case basse popoli e in quelle lussuose... Io sono cresciuto dopo la Guerra, e la mia infanzia e' piene di vecchie vestite di nero per avere perso in guerra i figli, i mariti...e di racconti truci di combattimenti...forse non c'era posto ancora per i simboli di pace...ma oggi, nonostante tutto, questi alberi pieni di luce mi danno speranza...ce la faremo, ancora una volta...

Tonino Serra

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