elemosina

 


Suggestioni: Elemosina.


Omar, lo incontro ogni mattina appoggiato
all’ingresso di un bar di via dei Giudicati.
Una statua di ebano, che si
confonde con i passanti ormai cotti dal sole e più neri di lui.
Credo che abbia venti-venticinque anni. Sdentato come unu coipira di Regaliu, gli occhi giallastri, se ne sta li’, tutto il giorno, con un cappello da baseball in
mano, a chiedere l’elemosina. Qualche volta gliela faccio, a volte no perché
magari ho incontrato prima altri suoi colleghi, giovani e con un cappello in
attesa. Ormai, molti clandestini senegalesi hanno fatto il salto: prima
ricevevano qualcosa facendo finta di vendere cianfrusaglie e fazzolettini, oggi
si sono arresi e chiedono direttamente l’elemosina. Li vedi disposti nel loro
territorio di caccia…uno ogni cento metri…in una fila ininterrotta di mani
tese, spesso verso il nulla. Lo fanno con noncuranza, non implorano…ciao
amigo, un soldino?…e ridono.
Omar non fa grandi affari. Ho visto raramente un
soldo nel cappello, ma sorride sempre.
Oggi l’ho invitato a prendere un caffè,
poi gli ho chiesto quanto incassava al giorno…mah, cinque-dieci euro…non
male, gli dico, cerca di non dirlo altrimenti ti fanno pagare le tasse…e poi
aggiungo…secondo me potesti farti ricco se solo smettessi di chiedere
l’elemosina temendo in mano un telefonino da trecento euro e nell’altra una
sigaretta marlboro, perché, sai, noi cristiani riusciamo a separaci da qualche
moneta solo se siamo sicuri che chi ci sta di fronte e’ veramente povero e ne ha
sul serio bisogno; altrimenti non diamo nulla e ci sentiamo anche pienamente
soddisfatti, perché non ci siamo fatti prendere in giro dai falsi poveri.
Sono sicuro che domani vedrò nuovamente Omar appoggiato con noncuranza al
muro, fumando sigarette di marca e attaccato al telefonino che io manco mi
sogno.
E qualcuno gli farà l’elemosina di venti centesimi, senza guardarlo in
faccia, così…per sentirsi buono e dimenticare un giorno tempestato di piccoli
atti di egoismo e di cattiverie.
Eh si’, perché l’elemosina costa poco in
confronto a quei minuti di benessere morale che ci regala. Diamo pochissimo per
sentirci soddisfatti di una buona azione, per dimenticare almeno per qualche
minuto la nostra indifferenza ai mali del mondo…compriamo per pochi centesimi
un po’ di autostima, di interiore senso di superiorità…e poi, oh, ho fatto
l’elemosina ad un negretto, mica ad un barbone bianco puzzolente e pulcioso.

Banalizziamo, nella nostra sublime ignoranza, un atto altissimo di
misericordia.

Lo abbiamo dimenticato, ma fare l’elemosina significa mostrare
pietà verso i poveri.
La Bibbia ci ammonisce con le parole di Tobia: “Non
voltare mai la faccia al povero e Dio non la volterà mai a te…se hai molto dai
di più, se hai meno dai di meno, ma non esitare a fare l’elemosina”. L’elemosina
e’ un atto di bontà verso gli uomini, riflesso della bontà che Dio ha riservato
alle sue creature, ma nessuno ci pensa più, perché Dio non esiste più.

Nell’islam, l’elemosina, zakat, e’ uno dei cinque pilastri della fede, insieme
con le due professioni di fede, le cinque preghiere quotidiane, il viaggio alla
Mecca e il Ramadan.
Ogni musulmano calcola la sua zakàt individualmente,
versando annualmente anche il 2,5% del capitale in eccesso a quello necessario
per i bisogni primari. Peccato che l’esistenza dell’Islam radicale ci faccia
dimenticare che in questa religione vive il comandamento biblico della
solidarietà, da noi quasi dimenticato.
Anche i nostri frati cappuccini e
francescani, nonché i terziari francescani, chiedevano l’elemosina. Tutti
ricordiamo fra’ Galdino che nei Promessi sposi chiede l’elemosina ad Agnese, che
lancia un’occhiataccia a Lucia perché, esagerando, dona al frate un grembiule di
noci. E come dimenticare i frati questuanti sardi: Ignazio da Laconi, Nicola da
Gesturi, Nazareno di Pula…tre uomini di carità, santi e beati per la Chiesa,
benefattori per i poveri.
A Ierzu ricordo con la sua bisaccia Ettore Businco,
primogenito del famoso Nicolò: come fra’ Cristoforo del Manzoni, aveva la lunga
barba bianca e la battuta pronta ed era l’immagine viva della carità
cristiana.

Eppure, di fronte ad un povero non riusciamo a restare
indifferenti.
Per me ragazzino, fu un colpo al cuore vedere nel film di un De
Sica perfetto, “Umberto D.” 1952, un vecchio funzionario, che aveva perso il
lavoro, fare le prove per chiedere l’elemosina, e tentare il suicidio buttandosi
sotto il treno col suo cane, che intuisce il gesto insano, fugge e salva cosi’
il padrone. Se non lo avete visto, non perdetevelo: vale più di mille articoli
sul tema.
Più di recente, tutto il mondo ha sentito una morsa al cuore vedendo
un vecchio pensionato, che non celava del tutto una passata eleganza, steso a
terra di fronte al bancomat di una banca greca. Forse aveva inserito la sua
carta di credito sperando di avere qualche euro e vedendosela respinta si era
sentito perso, scoprendo di non avere più nulla; e si era accasciato, come un
animale ferito, piangendo sconsolato di fronte al mondo.
Gianfranco, che e’ buono, ha rilanciato il post nel nostro Gruppo, seminando sgomento e spostando
le simpatie versi i greci anche da parte di chi, fino a un secondo prima,
accusava la Grecia di levantinismo e di pigrizia. Ognuno restava nelle proprie
idee, certo…governi corrotti e imprevidenti, classe privilegiata ed evasione
fiscale, baby pensionati, regno di cicale impenitenti…ma tutti avremmo voluto
dare subito la mano a quel vecchio, perché si risollevasse e ritrovasse la
dignità perduta e…al diavolo la politica…

Forse sta qui la risposta al mio dubbio: perché abbiamo perso il senso della misericordia?
Perché avvertiamo, anche se inconsciamente, che un atto nobile sia diventato
superficiale, meccanico, burocratico, incapace di metterci in relazione diretta
con i bisognosi: una sorta di auto tassazione per toglierci il pensiero del
povero, per evitare di pensare e di scoprire che il mondo e’ fatto di privilegi
vergognosi e di umiliante povertà.
Abbiamo perso…non me ne vogliano gli
amici agnostici o atei…il senso religioso della comunità umana e della
fratellanza, dove i poveri esistono e diventano sempre più numerosi e chiedono
aiuto; e nei quali ci rispecchiamo con la paura di diventare come loro o nella
presunzione di non correre quel rischio. Un po’ come scriveva Virgilio, mi pare,
di chi osservava con ansia, eppure contento di non essere nella loro condizione,
i naufraghi delle navi di Ena affondate da Giunone, che combattevano contro le
onde…rari nantes in gurgite vasto…
Siamo tutti abbandonati tra le onde e
non soccorriamo chi non sa nuotare o chi e’ trascinato negli abissi dai crampi o
dai mostri marini. Nuotiamo tra i corpi degli annegati, non ne conosciamo il
nome o il viso…e questo ci basta per consegnarci all’indifferenza.

Una paura, quella della povertà, che troviamo nei nostri sogni, come mi insegnava
tzia Domeniganna…Antoni’, si in su isu vedi che fai l’elemosina vuol dire che
si preparano cose belle per te, se invece te la stanno facendo, non ti senti
amato e devi pregare ka sa tentassioni ti fait mali…attento al diavolo che si
prepara a colpirti, anche nei tuoi affetti.
Farò l’elemosina, come mi insegna
il Vangelo, che destinava le decime del raccolto ai poveri perché potessero
vivere, come gli uccelli dei grani dispersi nel campo.
Scherzerò con Omar
sulle sigarette e sullo smartphone, ma lo riconoscerò come fratello e lascerò
nel mio cammino qualcosa che lo renda meno povero.
E spero, così, di non
sognare mai che il diavolo di tzia Domeniganna mi stia per fare un brutto
scherzo.
Tonino Serra per Medasa.it

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