Radio Alter on the Road ha conversato con Lisa Masia componente con Marina Cristofalo delle Lilies on Mars, un duo della musica elettronica tra le più raffinate nel panorama della scena europea e mondiale. In tempi attuali cupi, in cui le speranze di leggerezza sembrano  decadere, la musica delle Lilies, visionaria e onirica, ci parla di leggerezza lirica e poetica alla Borges. Le Lilies oltrepassano le barriere e i muri delle paure per attraversare con i ritmi tribali africani di Baba Sissoko l’abbraccio dell’accoglienza perché l’incontro con l’altro è pura energia che muove tutto, amore, musica, arte e dialogo.

(Fotografia di Stefania Zanetti)

Perché il nome Lilies on Mars?

È un progetto a sé per quel nome, nel senso della visione della musica. Lilies perché come fiore delicato ci piace molto e che abbiamo immaginato in un posto alquanto ostico e distante come Marte, per non avere nessun tipo di confine e barriere di alcun tipo. È la visione della musica che facciamo.

La vostra musica, che la si può collocare nel panorama della scena mondiale, accompagna i vostri video, come ad esempio “Stealing”, evocando allo spettatore scenari e immagini singolari e sensazioni cinematografiche. Quali sono i vostri intenti artistici?

Ci siamo affidate, quasi sempre, a una regista di Cagliari, Luna Ariel Caricola che ha curato i video delle Lilies on Mars. Sono delle visioni sulle quali abbiamo lavorato insieme cercando di fare emergere l’elemento onirico con quello lirico poetico ed introspettivo. Il ritmo e la soavità ne accompagnano l’elemento musicale.

Che senso date alla relazione tra il video e la vostra musica? Essendo due linguaggi ben distinti come riuscite a coniugare queste due espressioni artistiche?

Vi è sicuramente una ricerca e tanto tempo passato tra noi nel confronto e nel dialogo, sia sull’evocazione del suono che si relaziona all’immagine che in altro. È un lavoro a tre teste dove lasciamo il proprio spazio alla regista dove l’unione degli intenti è rispettato e preso in visione. Lavoriamo in stretta collaborazione senza tralasciare la libertà artistica dell’altro.

È un lavoro collettivo?

Si e mi fa piacere che si colga l’aspetto cinematografico perché quando scriviamo la nostra musica spesso ci ispiriamo a delle immagini che si avvalgono di questo aspetto. È un bel connubio.

In “Dream of bees”, il sogno delle api, e in “No Way”, perché questo sogno? Cosa avete voluto rappresentare?

Anche in No Way abbiamo lavorato con una donna regista e cantante, Sara Cappai dei Memory of Sho, e ancora una volta una collaborazione tra musiciste; mentre in Dream of bees, che è la rappresentazione di un sogno, vi è sempre presente la relazione con una  situazione onirica. È una presa di coscienza con il sogno di chi vive la realtà. Abbiamo voluto raccontare un vissuto quotidiano. Un vissuto tra l’onirico ed il reale dove ognuno soggettivamente vi ci si può ritrovare. È il sogno che si trasforma nel quotidiano e nelle scelte che si fanno nel quotidiano. Nel sogno si vola tanto alto e nella realtà cerchiamo di fare lo stesso o comunque aspirare a ciò. Sognare ad occhi aperti è sempre bello.

Il brano  come “For the first 3 years” è cantato in italiano. Perché questa scelta posto che molti dei vostri lavori sono in lingua inglese?

Lilies on Mars è un progetto che nasce in Inghilterra perché noi abbiamo vissuto là per quindici anni e l’inglese era la nostra prima lingua. Ora siamo tornate in Italia. Però la realtà è che incredibilmente i testi in italiano sono scaturiti da delle musiche che ci hanno ispirato a scrivere in questa lingua e non li abbiamo voluti tradurre. Non è stata una scelta studiata a tavolino. Tutto è nato in modo molto naturale.

Il brano “So far dear America” invece che titolo di un’America così cara e lontana? Ci puoi raccontare?

Si così lontana, ma anche vicinissima. La abbiamo vissuta in un tour che ci ha impegnato per circa due mesi negli USA. Un’esperienza bellissima.

Cosa vi ha lasciato questo viaggio e quali sacrifici per voi artisti, posto che il lavoro di un musicista richiede anche impegno e fatica?

Noi abbiamo scelto questa professione. È un lavoro che un po’ ti sceglie e un po’ lo scegli perché i sacrifici ci sono. Non è assolutamente vero che sia tutto rose e fiori. È difficile e si aprono tanti scenari considerando il fatto che non è ancora considerato da molti un lavoro e perciò è una situazione precaria di decidere di fare l’artista. Però l’abbiamo scelto come lavoro e siamo felicissime perché continua a darci tantissime soddisfazioni. Anche il fatto di essere state accolte nella lontana e cara America per noi è stato un grandissimo onore e privilegio.

Come è stata accolta la vostra musica?

È stata un ottima accoglienza. Queste sono le soddisfazioni che si incontrano quando si è on the road. È stato uno scambio di relazioni, di emozioni e di esperienze. Uscire dalla propria zona comfort è sempre uno stimolo fondamentale. Noi abbiamo appunto scritto “So far dear America” perché eravamo in procinto di andare a fare un tour così lungo negli USA. Non sapevamo cosa aspettarci ed è nata questa dedica al viaggio che dovevamo intraprendere.  Abbiamo girato anche un video a New York e lavorare con i registi del posto è stato fantastico. Inoltre ce lo hanno domandato proprio loro di girare questo video e noi felicemente abbiamo acconsentito.

Tra i vostri lavori mi hanno colpito due cover, “Long long long” di George Harrison e “All apologies” dei Nirvana. Perché la scelta di queste canzoni?

La prima con George Harrison è perché siamo state invitate a suonare in Inghilterra per un tributo a questo grande artista; per “All apologies” dei Nirvana la scelta è stata di Marina.

Oggi come pensate la musica? Quando lavorate insieme nella costruzione di un brano qual è il vostro modo di operare? Nasce prima il testo, la musica?

Dialoghiamo in continuo conflitto produttivo dialogico. È da tanto tempo che suoniamo insieme che basta uno sguardo per capirci. Il rapporto è consolidato da tanto ance nel lavorare.

Possiamo definirlo un buon matrimonio artistico?

Assolutamente si. Diciamo che siamo una famiglia che si è scelta.

Come ti sei avvicinata da bambina alla musica?

È stato un approccio un po’ più di rifugio. Mia madre ascoltava musica classica e le opere liriche. Questo il mio primo approccio ascoltavo con le cuffie i vinili di questa musica. Poi sono stata folgorata all’età di sette anni da una audio cassetta che mi regalò uno zio di Paolo Conte. Nel tempo c’è stata un’evoluzione nell’ascolto. Io sono di Sant’Antioco e con diversi amici che amavano anch’essi la musica ci si incontrava per suonare insieme tantissimo. A me piaceva tanto anche scrivere e fare musica auto prodotta e passavo ore e ore a studiare gli strumenti. Mentre i miei amici andavano a giocare il mio rifugio era la musica.

Bellissimo il progetto che avete portato avanti con Baba Sissoko uno dei più grandi rappresentanti della musica africana e della Kora. Come è stata questa esperienza?

Con il grandissimo Baba si è instaurato un grandissimo rapporto di amicizia. Appena ci siamo conosciuti è nato un ottimo feeling. La collaborazione con lui nasce grazie ad un amico comune di Salerno, Nicodemo, che ebbe in mente questo progetto. Nicodemo ci propose dei brani in fase embrionale e noi apportammo la nostra parte artistica e Baba Sissoko la sua.

Dal video si evince una forte sensibilità umana perché avete suonato in un luogo particolare dove i presenti ballavano immersi nella vostra musica.

Le riprese del video sono state effettuate al ghetto di Rignano dove ci sono tanti ragazzi di colore dediti alla raccolta dei pomodori e dove la triste usanza del caporalato fa emergere lo sfruttamento dei braccianti nei campi di tante persone. È stata un’esperienza quasi surreale. Il ghetto sembrava un villaggio africano con tutte le sue positività ma anche contraddizioni. I giovani erano entusiasti per il concerto e ci aspettavano con trepidazione. Altre persone invece non gradivano la nostra presenza proprio per il problema del caporalato. Nonostante la situazione delicata e fragile la serata è stata un successo e siamo stati accolti con gioia. È stata una delle esperienze più umana e profonda della mia vita. Alla fine del concerto molti ragazzi sono venuti ad abbracciarci e tutti insieme ci siamo commossi e abbiamo pianto per l’emozione.

Sicuramente una musica la vostra con Baba Sissoko e Nicodemo che simboleggia l’incontro e l’accoglienza dei dialoghi attraverso la vostra musica elettronica e i ritmi tribali africani proprio oggi che abbiamo bisogno di messaggi di questo tipo visto che sta per scoppiare una guerra in Ucraina.

Certo concordo. Magari ci fosse la possibilità di dialogare in questo modo così bello e pacifico che unisce e non crea divisioni.

Avete oggi dei progetti e dei sogni?

I sogni sempre. Adesso il sogno più imminente è che da Lilies on Mars è nato un progetto solo in italiano che è  proprio una costola delle Lilies on Mars. Si chiama Lili. Qui il nome si è abbreviato notevolmente. Il progetto è ancora più elettronico rispetto a quelli precedenti dove abbiamo avuto un approccio agli strumenti più digitali, perché ci piace cambiare e metterci in gioco sempre e abbiamo deciso di affrontare per la prima volta un album tutto in italiano. È uscito un EP di 4 brani e ne uscirà uno a Marzo e ad Aprile. Adesso con questi tempi di pandemia non ci sono più le sicurezze di una volta e perciò abbiamo dovuto rimandare tutto. Comunque in primavera e sicuramente prima dell’estate uscirà la seconda parte dell’ EP che confluirà appunto in un album. I lavori sono usciti con la Garrincha Dischi e questi sono i sogni attuali.

Non possiamo lasciarci senza ricordare le vostre collaborazioni con il grande Maestro Franco Battiato. Come è stato lavorare con lui in “Oceanic Landscape”?

È stata un’esperienza divertente e con dei frangenti inaspettati come sempre è stato lavorare con lui nel senso che doveva cantare una parte e poi ne ha cantato completamente un’altra e ha stravolto il pezzo rendendolo molto più interessante rispetto a quello che gli avevamo inviato. Un’esperienza ricchissima ricca di emozione. Si prestato a collaborare anche nel video. È stato come un ritorno. Lui ci aveva chiesto di suonare con lui e noi viceversa. Uno scambio e un venirsi incontro. Abbiamo collaborato per un bel tempo e lui è stato disponibile come sempre. Un grande amico e un grande mentore per il nostro progetto perché Lilies on Mars nasce anche da lui se non soprattutto da lui. Lui aveva visto dapprima ciò. Era convinto che io e Marina dovevamo sviluppare un progetto insieme e ciò è avvenuto. Lo aveva visto prima di noi ed effettivamente quando abbiamo iniziato a lavorare su questo progetto ci siamo ritrovate con un album e non ce ne eravamo neanche accorte. Lui disse: ecco lo sapevo. È sempre stato lui a seguirci e non abbiamo mai eseguito un pezzo senza che lo avesse ascoltato prima lui. Ci ha dato consigli preziosi ed è sempre stato con noi.

Un’ultima domanda che faccio a tutti gli artisti. Il SETI , l’istituto della NASA che ricerca l’eventualità e possibilità di vita e intelligenza extraterrestre sta portando avanti una ricerca su quali tipi di linguaggio e comunicazione l’uomo dovrà adottare con un incontro alieno. Posto che stiamo preparandoci per andare su Marte, le Lilies con quale tipo di linguaggio comunicherebbero con gli extraterrestri?

Ah bella domanda! Credo che si possa parlare di energia nel senso più pratico del termine. Credo sia quello il linguaggio universale che muove qualsiasi cosa, che crea la parola, che crea la musica, che crea il contatto. Si l’energia credo sia il metodo con cui a me piacerebbe almeno comunicare con gli alieni, ma talvolta anche con gli esseri umani.

 

 

 

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