Radio Alter on the Road Communications ha voluto essere presente il 12 gennaio al Conservatorio Pierluigi Da Palestrina di Cagliari, per il Capodanno Ortodosso di Rito Orientale, che si svolge la prima domenica del mese dopo l’Epifania. Lo spettacolo dei nostri musicisti e Maestri Jazz sardi ed il complesso Musicale bielorusso Marou, apprezzatissimo dal pubblico presente, ha visto il Teatro affollatissimo, che con grandi applausi ha saputo apprezzare le produzioni musicali proposte da tutti gli artisti. Incontrando i nostri musicisti sardi, Alessandro Di Liberto, Massimo Tore e Massimo Ferra, si è voluto dissertare con loro sui valori della musica e quale augurio si vuole prospettare per questo nuovo anno.

 

Abbiamo ascoltato oggi le vostre performances con il grande Maestro Luigi Lai, “Nuraghe e Museo vivente” della nostra cultura musicale. Un grande successo di pubblico. Già negli anni precedenti ci fu un tentativo da parte di Ornette Coleman di dialogare con la tradizione sarda del canto a Tenore, ma che fallì. Voi oggi invece avete proprio instaurato un perfetto incontro armonioso con le Launeddas e i vostri strumenti. Cosa vi ha favorito in questo dialogo musicale?

Alessandro Di Liberto: Senza dubbio nelle nostre orecchie e memorie ci accompagnano i suoni della nostra tradizione sarda pur facendo musica jazz. È una tradizione che vive con noi fin da quando siamo piccoli e perciò dialogare con le Launeddas e i  tipici ritmi dei 6/8 e 9/8, è un qualcosa di familiare; inoltre terminare una parte della performance con un “canto in re” è portare ciò nel nostro DNA. Si tratta si seguire queste strutture e mettere in atto la nostra memoria musicale per eseguire ciò che al momento ne scaturisce. Quello che avete ascoltato oggi è frutto di improvvisazioni e dopo solo pochi accordi, presi alcuni minuti prima dell’esibizione a voce, ci ha permesso questo incontro. Non vi è stata neanche una prova precedente alla performance e nonostante ciò siamo riusciti a instaurare un dialogo jazz con il Maestro Luigi Lai semplicemente ascoltandoci.

Oggi tu, Massimo Ferra, Roberto Migoni, Massimo Tore siete stati presentati come insegnanti del Conservatorio di Cagliari, ma dalla critica isolana siete anche considerati tra i migliori musicisti jazz della scena attuale. Cosa è oggi il Jazz e quanto si può coniugare con la tradizione? Può essere pericoloso attingere dalla tradizione, oppure la musica sono semplici note o come affermava Mozart quelle cacche di mosca nello spartito?

Oggi il jazz si è molto arricchito di contaminazioni. Molto più che un tempo. Si contamina con qualsiasi cosa e a volte non tutti gli esperimenti non escono con il buco dal mio punto di vista, però ci sono stati, grazie anche ad illustri personaggi come Paolo Fresu, in merito all’unione con diverse culture, la cultura del jazz e la cultura musicale sarda e altre etnie, ottimi risultati e percorsi. A mio parere questa è una delle strade che bisogna seguire altrimenti si continua rimestare la stessa materia per anni e anni, mentre adesso si cerca non solo di allargare gli orizzonti, ma anche sperimentare per creare nuove sonorità. Si è vero che a volte questi esperimenti sono rischiosi e non si fa centro, ma è bene provarci perché è l’unico modo per proseguire un percorso anche delle tradizioni .

Cosa augureresti con questo Capodanno ad uno studente del conservatorio e ai tuoi colleghi musicisti?

A tutti i musicisti del mondo?

In generale a tutti i musicisti.

Un augurio cosmopolita, e che la musica possa aiutare in questi tempi così difficili con sfondi e scenari bellici, di riuscire a dare un sollievo di bellezza e a riportarla a un ruolo di primo piano, perché l’arte e la ricerca della bellezza dovrebbe salvare il mondo e voglio continuare a credere in ciò. Ho una visione molto positiva a riguardo. Anche se magari sembra che ciò faccia poco, i semi e i frutti dell’arte si vedono nel tempo.

Allora più cultura e più musica?

Si cultura e sempre cultura perché è l’unico antidoto e perché non ce ne sono altri. Profeti, non ce ne sono. Ci siamo noi poveri artisti che proviamo a dare una visione diversa e migliore del mondo. Sì musica e cultura come antidoto alle barbarie.

 

Questa serata con questi artisti bielorussi è un augurio di un buon capodanno “ortodosso” di Rito Orientale? Quanto l’arte può dare e unire e darci il senso della bellezza e vedere il mondo in senso positivo?

Massimo Tore: La musica non ha nazioni. La musica non ha colori politici. La musica unisce tutto il pubblico. Perciò chi o che cosa se non la musica può salvarci dalla bruttezza?

Come hai vissuto questa esperienza oggi con il Maestro Luigi Lai? Questa “pietra miliare” delle Launeddas?

Il Maestro Luigi Lai ha esperienza anche di jazz e suona spesso con jazzisti di fama internazionale. Devo dire che nonostante le Launeddas siano uno strumento difficile da suonare nel jazz, il Maestro Lai riesce a inserirle in un giusto modo con maestria e abilità.

Voi come che affinità avete avuto con lui?

Prima di tutto abbiamo cercato di non provare. Sicuramente con le prove avremmo rovinato la freschezza dell’incontro e quell’improvvisazione che ci avrebbe tenuto con le orecchie vigile al dialogo musicale.

Oggi avete perciò mantenuto fede alla base del jazz, all’improvvisazione?

Si, diciamo che ci siamo detti solo la tonalità perché il Maestro Lai doveva scegliere le canne giuste. Però non abbiamo provato niente.

Un augurio?

Tanta musica.

 

Massimo questo capodanno ortodosso?

Massimo Ferra: Abbiamo fatto meno dieci, meno nove, ecc.

(Ridiamo) Certamente Musica misurata! Suonare con il Maestro Lai e questi tuoi stimatissimi colleghi oggi. Che sensazioni?

Siamo tutti colleghi dello stesso Dipartimento al Conservatorio di Cagliari. Vi è tra noi una grande e reciproca stima.

Oggi la vostra performance con il Maestro Lai è stata apprezzatissima da tutto il pubblico presente.

Fare incontrare il jazz con gli strumenti della tradizione non è solo un incontro casuale. Esistono problematiche tecniche strumentali che richiedono un superamento e risoluzione delle stesse. Generalmente certi strumenti della tradizione, non avendo tutta la sequenza delle note, non permettono un ampia libertà di espressione. Perciò o si va nel loro campo o si suona nella loro tonalità e sul tempo del brano. Noi ci siamo concordati sui 3/4 e 6/8 e sulla tonalità e poi abbiamo improvvisato, tenendo presente che gli accordi dovevano rimanere con il bordone per permettere a noi le nostre improvvisazioni strutturate con cambi di tonalità. Poi nel rientro, nella coda, c’è stata la reunion strumentale.

Questa è proprio la filosofia del jazz?

Non solo del jazz, ma anche della vita in generale, nel senso che se uno si ostina ad arroccarsi nelle proprie posizioni, allora non vi è possibilità alcuna di dialogo. Qui in musica abbiamo trovato un accordo, quello che ognuno poteva fare lo ha apportato nel gruppo con il proprio strumento e così che abbiamo creato questa armonia.

La bellezza dell’arte e della musica può aiutare l’umanità?

Il mondo dipende dalla politica e dai politici. Se ascoltassero un po’ più di musica forse cambierebbero in meglio. (Ridiamo).

Allora cosa consiglieresti?

A qualche politico di ascoltarsi qualche brano di musica che gli farebbe bene. Scherziamo qui naturalmente!

Certo! L’arte può salvare il mondo secondo un tuo punto di vista?

Io non penso che sia l’arte. La malattia dell’uomo è l’avidità. L’avidità la si incontra in tutti i settori. Anche nella musica l’uomo può essere avido e quindi non comportarsi in modo non certo ortodosso, se vogliamo parafrasare in questi termini. Se uno è molto avido di risorse, distrugge l’ambiente. Se è avido di danaro, crea dall’altro lato povertà. L’avidità e l’esagerazione distruggono l’umanità e il pianeta. Non è facile. L’uomo è troppo spesso incontentabile e avido.

Perciò oggi con la vostra performance ci avete dimostrato che strumenti diversi possono stare insieme e suonare in armonia tra loro?

Sicuramente si! In tutte le cose lo si può fare. Basta volerlo.

 

 

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