Immersione tecnica


Hai presente quando ti svegli di soprassalto con un pensiero fisso, con la sensazione di aver sentito un suono fuori dalla stanza o credi che qualcuno ti abbia chiamato? No? …mai successo? Allora si vede che hai una coscienza cristallina, che sei un bimbo di 6 anni che ha appena imparato a leggere o che sei bravo a mentire a te stesso!!

Sono anni che ci penso, circa 30 per l’esattezza! Non ho mai promesso niente a nessuno, non ho mai negato apertamente di averlo fatto ma ho lasciato intendere sempre che non sapessi di cosa si trattasse, ho fatto come quello di prima che dice di non essersi mai svegliato di soprassalto!! So che ancora oggi se ne parla. Ogni tanto qualcuno, un collega attuale, magari il figlio di un amico che sa che ho lavorato a Sharm agli albori della subacquea ricreativa commerciale, ne ha sentito parlare e mi chiede se è vero che esisteva……“IL CLUB DEI 100”!!

Adesso che l’ho scritto e che lo rileggo, nero su bianco, stento a credere di averlo fatto. Mi sento come un cittadino dell’ Alabama che apertamente si dichiara razzista, come un trafficante che racconta pubblicamente tutti i suoi loschi giri.

Troppo imbarazzante, una appartenenza che chiunque rinnegherebbe. Quella era una militanza che nessuno avrebbe ammesso ma della quale tanti ne avevano subito il fascino, molti di piu di quelli che potreste immaginare! Suppongo che adesso molti dei miei amici e colleghi di allora stiano impallidendo… tranquilli: non farò nomi, citerò circostanze e fatti e userò pseudonimi che solo ai diretti responsabili consentiranno di riconoscersi.

Iniziamo con il raccontare (perché spiegarlo non è possibile): cosa era il “Club dei 100”.

Per coloro i quali sono capitati davanti a questo testo per caso e non ne hanno mai sentito parlare.

Il luogo era Sharm El Sheikh, il periodo erano gli anni 90 del precedente secolo. La comunità responsabile era qualla degli “Sharmers”, giovani istruttori subacquei di etnie assolutamente assortite e accomunati da una fortissima passione: le immersioni subacquee. Tutti professionisti, tutti biondi (molti solo scoloriti dal sole), tutti scalzi, sempre sporchi ma padroni assoluti delle tecniche di immersione e soprattutto bravi ad insegnarlo agli altri trasmettendo con entusiasmo l’amore per le creature e l’ambiente sottomarino. Tutti, anche quelli che allora non rispettavo o che detestavo per scarsa affinità reciproca, eravamo accomunati da una innata capacità di gestire problemi e risolvere brillantemente quasi tutte le difficoltà che quotidianamente si presentavano in barca. A quei tempi le barche non erano come quelle di oggi. Erano molto piu piccole, tutte con un solo motore, i marinai non sapevano nuotare (chiedetelo a Fredrik da Caorle che per scherzo lancio in mare Baiumi e si dovette buttare a salvarlo perché stava annegando!!), i comandanti non parlavano una parola di inglese (ma sapevano governare le barche) e la polizia turistica accettava le liste di imbarco anche quando le scrivevavamo su carta sempice compilando i numeri di passapaorto davanti a loro inventandoli di sana pianta spiegando che in realtà li sapevamo tutti a memoria.

Altri tempi, altra generazione, interessi diversi; magari ai giorni d’oggi considerati vecchi e di scarso valore. A quei tempi avevamo poco con il quale divertirci: amicizie, sigarette che facevano ridere, tanta socialità e anche il lavoro non era per niente male. Immagino che molti di voi adesso stiano pensando: “come se la tira, che autoincensamento….” In realtà sappiate che non me ne frega assolutamente niente di questo vostro pensiero. Ho appena ammesso di essere stato uno del Club dei 100 figuratevi se mi imbarazza scrivere che molti degli istruttori attuali sono dei tristi impiegati della subacquea. Attualmente, moltissimi di quelli che lavorano nel settore specifico sono gente senza attitudine, con scarse capacità di gestione e controllo, incapaci di trasmettere passione e che nonostante si trovino nella migliore delle condizioni per poterlo fare: non provano e non sanno far provare emozioni. Del resto le didattiche, finalizzate esclusivamente al risultato economico e mosse dal profitto, non fanno piu niente per motivare in tal senso i loro membri. Sono consapevole che la subacquea ricreativa sia un impresa e che il profitto sia il fine ultimo di ogni attività commerciale. Il problema della spinta commerciale è che coloro i quali si affermano sul mercato non sempre sono i piu capaci o i piu competenti, ma spesso sono solo i piu bravi a vendersi e a far credere di essere all’altezza del loro ruolo.

Si puo raggiungere lo scopo con qualche post in piu o con una qualche frase ad effetto sui social network di turno! L’importante è dare l’illusione di essere il piu bravo, il piu bello, il piu capace e se riesci a venderti in tal modo, anche quando sei scarsamente dotato, incapace o incompetente….. non importa! Puoi anche fare una scenata isterica ad un collega o ad un sottoposto, ma poi se pubblichi una foto di voi insieme che sorridenti vi abbracciate … beh allora siete veramente amiconi, “best friends”!!! E chi se ne fotte se per rivalità o mosso da invidia due giorni prima gli hai tolto il saluto o hai tentato di umiliarlo davanti ai suoi clienti o allievi. Adesso siete fatti cosi!! Superficiali….. e questa è una dote che non si addice per niente ad un professionista della subacquea!! Noi vivevamo sotto la superfice e le giornate, per noi, erano solo il tempo che trascorreva tra un immersione e l’altra!

Ma non voglio fare di tutta l’erba un fascio. Io non sono più coinvolto nella subacquea professionale a nessun titolo. Mi immergo ormai solo saltuariamente e difficilmente vesto i panni del cliente in un diving o su una barca da crociera, ma quando lo faccio non perdo il mio senso critico. Quando raramente capita di essere io il cliente, mi attengo alle istruzioni del briefing pre-immersione, seguo le istruzioni e non commento. Per me sono veramente poche le occasioni di immersione, adesso ho altri interessi. Ma credo di essere ancora in grado di riconoscere i veri talenti quando, raramente, mi capita di vederne uno e riconoscerglielo mi sembra doveroso. Ho premesso che non avrei citato nomi e allora posso dirvi solo che lei “Red” è una delle ultime valchirie della subacquea. Preparata e con quella marcia in piu che in gergo, ai tempi, chiamavamo “l’occhio lungo”. In grado di classificare i clienti e di mirare la supervisione su coloro i quali è veramente necessario. Come spesso succede, chi ha il talento non ne ha la consapevolezza e allora, caso non unico ma molto raro, mi sono sentito in dovere di dirglielo. Spero solo che abbia creduto alle mie parole e che si sia sentita abbastanza motivata da continuare e che,anzi, continui per lunghi anni con il suo lavoro.

Quando eravamo agli albori (faccio parte della prima generazione di istruttori subacquei professionisti e le mie ossa portano il peso di ogni singolo minuto passato sott’acqua) a pochi era chiaro come si dovessero fare le cose e di conseguenza qualunque cosa facessimo poteva anche andare bene.

Mossi dalla passione per noi era importante andare sott’acqua e condividerlo con quante più persone possibile. Ci sentivamo degli eletti..mica devo fare finta che non fosse cosi. Stavamo uscendo dall’immagine dei subacquei superumani. Noi facevamo i corsi Divemaster con le traduzioni non ufficiali del manuale che in Italiano ancora non esisteva. Ci immergevamo con i bibombola con la riserva, usavamo le mute di gomma della Pirelli, guardavamo il mondo sommerso attraverso la Pinocchio della Cressi-sub ma ci immergevamo anche con i primi computer subacquei e usavamo già il giubbotto ad assetto variabile. Ci stavamo emancipando ma ci sentivamo privilegiati. Del resto, quando cresci con “Il mondo del silenzio” di Jacques-Yves Cousteau e da piccolo decidi di diventare un subacqueo non può essere diversamente.

Tutti conosciamo i super eroi (Dio benedica Stan Lee) e tutti abbiamo un supereroe preferito. Da piccoli fantasticavamo di emulare le gesta del nostro supereroe preferito. Immaginate di poter imparare a volteggiare come Spiderman o di poter disporre di una corazza supertecnologica come Ironman…. non usereste queste capacità o quella tecnologia per emulare le loro gesta? Io si! E cosi ho fatto, ho realizzato il mio sogno ed era bellissimo.

La passione non si vive a metà, la passione si deve consumare fino in fondo e da questo al “Club dei 100” il passo è stato breve.

Quasi tutte le sere , dopo il rientro in porto, ci si trovava tra colleghi, a casa di qualcuno di noi o al “Pirates’ Bar” e ci raccontavamo gli aneddoti quotidiani. Inevitabilmente si descrivevano luoghi e animali. Giornalmente sentivi parlare di posti che non avevi ancora visto e dichiarare la profondità era una cosa normale. Andare a visitare i luoghi citati da altri per verificarne di persona la bellezza era normale, scendere qualche metro in piu era lecito per vedere cosa ci fosse di nuovo e poterlo raccontare era motivo di stima da parte di tutti.

Non vivevamo le limitazioni delle didattiche come dogmi e voler toccare con mano era gia una motivazione sufficiente. Cominciammo con il dichiararci le profondità reciproche e senza imbarazzo dicevamo la verità. Nacque spontaneamente e mai ufficialmente il gruppo di coloro i quali avevano ecceduto il limite dei -100 metri respirando aria…. lo leggo di nuovo e stento a credere di averlo scritto.

Non c’era una vera ragione che ci spingesse a farlo e non è che spesso lo pianificassimo… succedeva. Lo facevamo solo perché potevamo farlo e nessuno si vantava di esserci riuscito. Era una cosa che facevamo in acqua e li finiva la storia, “anche dicendo ad uno che aveva fatto una bella immersione non lo dicevi alla stesso subacqueo che la aveva fatta, chi eri sott’acqua non corrispondeva a chi eri nel resto del mondo” (cit. Fight club).

Sempre ispirandomi a quello che poi venne detto nel celeberrimo film sopra citato: “il CLUB dei 100 esiste solo nel tempo tra l’inizio e la fine dell’immersione”.

Da qui la regola numero uno del Club dei 100: “il Club dei 100 non esiste”. Esistono solo persone che ne hanno fatto parte e io non nego piu di essere uno di quelli ma far finta che non sia mai esistito sarebbe una menzogna che, per quanto mi riguarda, non ha piu motivo d’essere.

Uno dei punti di immersione nei quali avvenivano le immersioni ispirate all’appartenenza del club dei 100 era Sodfa, l’altro era Tower a poche decine di metri di distanza. All’epoca io lavoravo al Dive Center del Club Sharm, che si affaccia proprio davanti a quel drop-off. Usavamo legare la bandiera del proprio diving di appartenenza lungo la caduta per testimoniare la profondità raggiunta. Una mattina avevo notato la presenza inusuale di una barca del diving inglese “Oonas”. Non nascondo che tra me e loro non è mai corso buon sangue, soprattutto dopo l’episodio che segue. Avevo il sospetto che una delle loro guide stesse approcciando una “deep” davanti a casa mia.

Nel pomeriggio decisi di verificare se una loro bandiera fosse stata legata lungo la caduta e a quale profondità…. Il bastardone la aveva legata a -98 metri!! Impensabile, era un vero affronto. La slegai e me la misi in tasca, scesi di ancora diversi metri e rilegai la nostra bandiera, quella con il logo del delfino giallo, alla nuova profondità ufficiale. Non soddisfatto il giorno dopo riportai la bandiera al manager del diving “Oonas” dicendoli che la avevo trovata a Sodfa mentre stavo risalendo!!! 

Non era bullismo, era dimostrare la propria appartenenza e del moralismo ce ne fottevamo. So che ci sono stati anche subacquei che non sono sopravvissuti ad immersioni di questo tipo, ma sono le conseguenze di una manifestazione di appartenenza, nessuno è mai stato costretto a far parte del gruppo. Tutti eravamo pienamente consapevoli del rischio, ma accettavamo di esporci e mi spiace per la loro sfortuna. Del resto posso affermare che non era una competizione, non era questione di perdere o di vincere ma l’euforia che ti suscitava era un raptus estatico come le urla degli invasati di una chiesa pentecostale, e tanto bastava.

La cosa non era ben vista dai responsabili dei diving e ricorrevamo a diversi espedienti per mascherare la cosa: entravamo in acqua con due computer subacquei, uno lo lasciavamo nascosto in qualche buco nel reef ad una profondità di 25/30 mt e lo recuperavamo in risalita per metterlo al polso subito prima di uscire dall’acqua dopo la decompressione.

Il pericolo maggiore era la sensazione di benessere che la profondità generava in chi, come noi, aveva il fisico condizionato dalle tante immersioni. Julio da Lupatoto, io e Manuello durante una immersione assolutamente pianificata in tranquillità e senza premeditazione, sentimmo il richiamo della profondità e un metro dopo l’altro eravamo scesi pericolosamente vicini al fondo del dropp-off a Sodfa. Tutto regolare, tutto sotto controllo, quando facevamo quelle cose vedevamo tutto con occhi diversi e spesso inquadravi subito le cose. Manuello era troppo rilassato (in quelle condizioni il relax è piu pericoloso del panico) e continuava a scendere guardandosi intorno, senza nanche tenere in mano il sistema di controllo del gav. Ma la reattività delle persone che hanno l’istinto della profondita è proverbiale, bastò toccargli una spalla, chiedere se era tutto ok che da solo realizzò che il suo stato di calma era inappropriato. Fermata, scambio di segnali e risalita…. E adesso possiamo raccontarlo! Dovrei vergognarmi? Dovrei sentirmi in colpa? Forse si…. Ma in realtà non mi interessa. Eravamo selvaggi, ci piaceva il mare, vivevamo di emozioni ed eravamo contenti di essere cosi!! Se pensate che sbagliassimo probabilmente avete ragione, non mi pongo più questo problema. Se invece pensate che oggi sia meglio e che per fortuna il vostro istruttore non è cosi… pensate solo che noi vivevamo di emozioni ma che non esponevamo nessun altro se non noi stessi a quel genere di rischio.

Poi chiedetevi anche: quando qualcosa andrà storto sott’acqua vorreste essere con uno di noi che probabilmente saprebbe cosa fare o preferireste stare con il vostro istruttore di fiducia? Lui con uno smartphone saprebbe chiedere velocemente assistenza senza, probabilmente, saper fare altro!

A questa conclusione non ci sono arrivato da solo, mi ha illuminato uno dei più famosi medici iperbarici, colui il quale ha in assoluto la piu grande esperienza di ricompressioni terapeutiche. Recentemente mi ha detto: “Walter, voi eravate degli scriteriati, ne combinavate di tutti i colori ma al massimo dovevo ricomprimere voi. Quando capitava ad un cliente sapevate sempre cosa fare e facevate sempre la cosa giusta. Oggi quando c’è un incidente subacqueo, raramente sanno cosa fare, spesso non fanno niente oltre a telefonarmi e quando fanno qualcosa….  fanno quella sbagliata!!”.

Ma del resto, se siete convinti del contrario e questo solo perché non giudicate credibili coloro i quali si comportavano da irresponsabili per passione… be sicuramente avete ragione voi, del resto anche Dott. Adel se glielo chiedete vi dirà : “tanto… Il club dei 100 non esiste!!”

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