Chi ha lavorato nella subacquea ricreativa e si è trovato coinvolto in attività promozionali, sa che una delle difficoltà maggiori è convincere tutti i potenziali interessati che la subacquea non è uno sport pericoloso. Molte volte mi sono sentito rispondere: “mi piacerebbe provare…ma ho paura!”. Voglio cogliere questa occasione per sfatare, a modo mio, questa diffusa convinzione: ossia che la subacquea sia una attività sportiva ad alto rischio. Le prime argomentazioni saranno di tipo logico. Il numero degli infortuni, su base annuale e sul numero dei praticanti, risulta essere maggiore in attività come il PingPong piuttosto che nella subacquea ricreativa. Ma la gente allora ha paura degli squali……in Italia dal 1847 ad oggi (in 168 anni) ci sono stati 13 attacchi dei quali 3 sono risultati fatali (fonte: International Shark Attack File) mentre, sempre in Italia, ci sono circa 50 bambini all’anno che muoiono per soffocamento spontaneo (fonte: Ansa.it) e pochissimi decidono di iscriversi ad un corso di Pronto Soccorso Medico per imparare la manovra di Heimlich. Ammetto di essermi servito di questa argomentazione per vendere dei corsi di pronto soccorso!!! In molti hanno avuto dei cugini che sono morti, almeno due o tre volte ciascuno, annegando in circostanze mai del tutto chiare e questo trauma non gli consente di vincere la paura dell’acqua…..ma noi possiamo respirare sott’acqua.

Ogni argomentazione può essere controbattuta, ogni tesi contraddetta e ogni dogma smentito, ma se ritenete che la subacquea sia veramente pericolosa, almeno quella ricreativa, sappiate che siete in errore. Non che doversi servire di un equipaggiamento indispensabile per la respirazione, indossare specifici indumenti protettivi, dotarsi di attrezzature necessarie per la visione e potersi muovere usando gli arti in maniera del tutto difforme da quella naturalmente ottenuta grazie alla selezione naturale, possa contribuire a rendere la subacquea una attività proprio sicura sicura, ma i subacquei sono dei privilegiati: hanno veramente un angelo custode!

Ebbene si! Quando ci immergiamo, godiamo di uno speciale salvacondotto che consente, spesso ma non sempre, di scampare pericoli esagerati come se nulla fosse! Alcuni tra di voi hanno delle buone ragioni per dissentire da questa mia affermazione e alcuni miei amici sono la prova vivente dell’esatto contrario, mi dispiace sinceramente per questo, ma credo che alcune circostanze debbano farci riflettere. Questa idea mi folgoro’ la mente un pomeriggio al Pirate’s Bar. Lavoravo come freelance e amavo terminare la mia giornata lavorativa “reidratandomi” conscenziosamente con la birra. Ero in compagnia di Fabrizio, grandissimo amico, un fratello per me. Lui faceva parte dei “Ragazzi della CocaCola” chiamati cosi perche se salutandoli gli stringevi la mano e scuotevi troppo vigorosamente: facevano la schiuma! Suo malgrado si vedeva costretto a ricorrere a ricompressioni terapeutiche per rimettere in equilibrio le pressioni parziali dei gas disciolti nel suo torrente sanguigno. Una volta, quando fresco fresco di camera iperbarica si stappo’ una Eineken per festeggiare lo scampato pericolo, gli facemmo notare che la birra non era proprio la bevanda più in linea, lui rispose che gli serviva perché doveva tenersi pronto a riportare in superfice la camera iperbarca con un rutto!!!! Che dire… inattaccabile…non faceva una piega!

Comunque quel pomeriggio il discorso tra me a Fabbri fu più o meno questo:

-“Fabbri…. ma tu…ai candidati Advanced…. gli fai fare il circuito di valutazione degli esercizi?”

-“E che sei matto? Cosi non si può iscrivere nessuno ai corsi e chi me lo paga a me l’affitto di casa….Drew Richardson?”(nda: Drew era il numero uno della didattica per la quale entrambi insegnavamo)

-“No, hai ragione…tanto i subacquei ne combinano di tutti i colori ma poi alla fine non si fa mai male nessuno”

-“Si è vero….” lunga pausa di riflessione e.. come per Saulo sulla via di Damasco una considerazione mi si stampo nel cervello “ma vuoi vedere che per tutti questi anni siamo stati degli allarmisti?” e giù a ridere compiaciuti come due dementi sotto lo sguardo compassionevole di Rosko il barman.

E a giudicare da quello che sto per raccontare il ragionamento era assolutamente coerente.

Per anni ho goduto di una fama, immeritata, di uomo attento alla sicurezza, grande pianificatore e, sopratutto molto fedele ai protocolli operativi atti ad evitare incidenti. Ho ideato e scritto il manuale operativo di una società di gestione delle attività subacquee ricreative che aveva diffusione mondiale. Come mai mi intendevo di sicurezza? Semplice: per lo stesso motivo per il quale i migliori esperti di sicurezza informatica, spesso, hanno un trascorso da hacker! “Non si può rubare a casa dei ladri” (cit: Fabrizio S.)

Questi i fatti: Io e Julio da Lupatoto ci eravamo annoiati di fare corsi, guidare immersioni, insegnare in aula, fare promozione; il solito tran tran dell’istruttore subacqueo. Saltuariamente interrompevamo la monotonia dedicandoci ad intense relazioni interpersonali con individui di genere complementare, sfruttando senza scrupoli i nostri privilegi sociali. La monotonia era dura da tenere a freno, quasi come la monogamia, ci voleva dell’adrenalina: “Domenica facciamo una bella immersione staff!” era il preludio all’autolesionismo.

Ma quando vai in acqua tutti i giorni dalle due alle quattro volte al giorno, per essere quantomeno attrattiva un’immersione deve essere compiuta oltre i limiti dello standard operativo, altrimenti sembra lavoro e tanto vale restare a terra a fare l’inventario del diving!

Per poter superare gli standard operativi avevamo bisogno di una scorta d’aria respirabile superiore alla norma. Non potevamo assemblare un bi-bombola perché avrebbe destato qualche sospetto e l’Ammiraglio Fujamoto (il nostro responsabile superiore) non era tipo da lasciarsi sfuggire certi particolari all’apparenza quasi insignificanti. Per capirci: l’Ammiraglio era un tipino che, sott’acqua, prendeva a sonori schiaffoni sul muso gli squali allo scopo di ristabilire la piramide sociale interspecifica: “devono capire chi è che comanda, altrimenti è la fine!” questo era quanto lui affermava quando gli chiedevamo perché lo facesse e per noi era abbastanza, un tipo da non sottovalutare!!

Per mimetizzarci, a me a Julio, ci vennero una serie di idee che quasi mi vergogno a raccontarle, fatto salvo il fatto che una era particolarmente geniale. Dovevamo caricare le bombole oltre la pressione normale. Il compressore, di una nota marca teutonica, era tarato per arrestare la carica a 224 Bar. Fu facile distrarre il personale addetto alla supervisione delle operazioni di ricarica delle bombole.  Mentre Julio da Lupatoto faceva il palo, sabotai il pressostato di stacco e come d’incanto ottenemmo due bombole a 240 Bar. Oltre non era possibile perché il costruttore monta di serie un sistema di sicurezza che non consente di eccedere questa pressione (potevo sabotare anche quello, ma mi sembrava esagerato).

Il 10% in più già faceva comodo, ma non ci ritenevamo ancora soddisfatti. Fu proprio a questo punto, quando la situazione si fece stimolante che mi venne una delle peggiori idee di tutta la mia vita: potevo applicare la legge di Charles o prima legge di Gay-Lussac . Finalmente tanti anni di studio potevano servire a qualcosa di veramente utile, le notti insonni trascorse a preparare gli esami di fisica e di chimica all’università di colpo acquistavano un senso!! In una trasformazione isobara il volume di un gas ideale è direttamente proporzionale alla temperatura. Praticamente dovevamo raffreddare le bombole ultracariche e poi caricarle ancora, prima che tornassero alla temperatura ambiente!! Non fu difficile convincere Oscar, lo chef, a farci mettere per una notte le bombole stracariche in cella frigorifera. Dopo una notte a -24 scesero a 170 bar e noi le riattaccammo al compressore per riportarle a 240. Quando poi raggiunsero la temperatura ambiente la pressione era a livelli “ottimali”. Non sapemmo mai esattamente a quanto, perché i manometri avevano il fondo scala a 250 bar e le lancette non erano sufficientemente “elastiche”….. ma la scorta d’aria sembrava soddisfacente. Ero molto fiero della mia geniale trovata. Rimisi a posto il compressore e montammo le attrezzature maneggiandole con estrema cautela. Camminando in punta di piedi entrammo in acqua e ci avventurammo verso l’orizzonte e oltre, ecco…sopratutto oltre!

La pianificazione che secondo ciascuno di noi due, era responsabilità dell’altro e quindi inesistente, ci porto’ a dover smaltire qualcosa come circa 50’ di decompressione con appena 15 bar ciascuno di autonomia!! Vi lascio intuire quanta di quella decompressione svolgemmo effettivamente. Insomma due incoscienti irresponsabili autolesionisti in balia della loro sfrenata voglia di adrenalina. E di Adrenalina ne fummo saturi, al punto che quando in superfice, con i computer in preda a crisi epilettica, quasi gasati dal fatto di essere ancora vivi ed incolumi, ci sdraiammo sulla spiaggia vigli e attenti all’insorgere dei primi sintomi. Ma tutto si svolse per il meglio, NIENTE! Non successe proprio niente! Felici e sollevati, quasi compiaciuti, ci sentivamo avvolti da una strana aurea di impunibilità, ma avevamo, nostro malgrado sottoscritto un patto con Nettuno che ci vedeva titolari di un enorme debito nei suoi confronti. Per questo motivo, consapevole che i debiti vanno sempre onorati, in seguito mi sono sempre mosso con grande attenzione. E`da allora che mia attengo ad una semplice ed elementare regola: “MAI PIÙ PROFONDO, MAI PIÙ A LUNGO DEL TUO ANGELO CUSTODE!”

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