seuni

 

Suggestioni: Seuni

Esistono dei luoghi trascurati nelle carte
turistiche o liquidati con un laconico messaggio al viandante: “non ha punti di
interesse da visitare”. Quindi passi dritto, dai uno sguardo distratto e ti
tuffi nella calca dei visitatori che schiamazzano nei grandi centri urbani e si
fanno di birra nei baretti assolati delle stazioni balneari.
La Sardegna e’
piena di questi luoghi ignorati bellamente o snobbati dalle guide.
Luoghi dell’anima, che esistono da secoli, forse da millenni, e che recano impresse le
rughe del tempo negli angoli segreti tra case antiche in pietra, nei portoni
aggrediti dai rampicanti, negli edifici cadenti e chiusi, nei camposanti
protetti dai cipressi e dall’erba alta, nelle chiese minuscole senza incenso e
grandi pale d’altare, nelle periferie fatte di campi aperti lavorati dagli
uomini e levigati dalla fatica millenaria.
Come Rio Bo, la poesia di Aldo Palazzeschi su un villaggio nascosto, che imparai a memoria alle elementari:
Tre casettine
dai tetti aguzzi,
un verde praticello,
un esiguo ruscello:
rio Bo,
un vigile cipresso.
Microscopico paese, è vero,
paese da nulla, ma
però…
c’è sempre disopra una stella,
una grande, magnifica stella,
che a un
dipresso…
occhieggia con la punta del cipresso
di rio Bo.
Una stella
innamorata?
Chi sa
se nemmeno ce l’ha
una grande città.

Una pennellata
veloce, una cantilena per bambini, un racconto in pochi versi innamorati di un
luogo: come Seuni, che scorgiamo dalla collina del nuraghe Piscu, che domina una
delle vallate più nascoste della Trexenta, a pochi chilometri dal paesone di
Senorbi’ e dall’antica sede del vescovado di san Giorgio, Suelli.
Un pugno di case immerse nei campi di grano sconfinati, segnati da confini verdi di pochi
alberi. Meno di duecento anime, che abitano case di pietra o più recenti, senza
l’allineamento classico lungo una strada principale ma distribuite in piccoli
vicinati, che si sono uniti, stretti tra loro in modo spontaneo, nei secoli,
forse dove passava la strada romana che da Kalares portava a Turris Libisonis,
nel capo estremo del nord dell’isola.
Da lontano scorgiamo il muro in rovina
del cimitero vecchio, come la cinta di un borgo medievale, e il campanile che
svetta sulla collina a protezione del piccolo abitato.
Oggi i campi sono gialli, ondeggiano di spighe. La natura respira con riflessi d’oro.
Sono i colori dei quadri di Luigi, che ieri ci ha lasciato per andare e dipingere gli
angeli, i cieli incorrotti, le albe senza nubi e le colline animate dai canti
struggenti dei contadini.
E sono venuto qui, con Renato e Ilario e con tanti
amici per salutarlo l’ultima volta.

Luigi era nato a Ierzu nel 1946. Il primo
di quell’anno che vide nascere 97 bambini.
Nacque alle nove del mattino del 4 gennaio nel vicinato di Peis de Idda, in via Vittorio Emanuele, la strada
allora più importante del paese, chiamata anche sa Ia Manna o sa Ia de sa
Processioni, perché portava alla chiesa di sant’Elmo, costeggiando il palazzo
comunale, la pretura, la prigione, la scuola. Poi fu aperta l’attuale via
Umberto e l’antica strada rientro’ nel silenzio.
Luigi fece le elementari nell’imponente edificio “Amerigo Demurtas”, nella mia stessa classe. Eravamo
appassionati di fumetti, allora solo quattro: Intrepido, Monello, Capitan Miki e
Blek Macigno. Passavano ore intere ad allenarci con archi di canna e fantasiose
spade di quercia. Lo ricorderò sempre mentre mi attaccava urlando…in guardia
Jack, arriva il capitano dei pirati: impressionante, perché aveva gli occhi
verdi che apparivano feroci in un ragazzo buono, invece, come il pane. Alcuni
mesi fa, vedendolo con un barbone da pirata…appunto…gli ricordai i nostri
duelli e ne ridemmo come bambini.
Poi un giorno non lo trovai più. Era partito,
come capitava in quegli anni a tante famiglie senza lavoro. E fu la sua fortuna
perché quando lo rividi, anni dopo, era cambiato. Un uomo, e un artista, perché
a Firenze aveva coltivato la sua innata e sconosciuta passione per la pittura ed
era diventato un pittore famoso. E di lui diventammo orgogliosi come di Gianni
Esposito, l’altro pittore di Ierzu, che ci ha lasciati, giovanissimo, pochi anni
fa.
Luigi Pu aveva all’attivo oltre centotrenta tra mostre antologiche e
personali: Firenze, Roma, Napoli, Brescia, Milano, Teramo, Perugia, Catania,
Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano, Spagna, Parigi, Assisi. E si faceva notare
per la narrazione pittorica immediata, dai colori abbacinanti degli
impressionisti francesi e dai tratti nervosi alla Van Gogh. Una pittura che
trovavo intimistica, triste, con aspetti quasi violenti nelle linee decise e
taglienti.
Una pittura che mai lascia il motivo ispiratore della terra, del
lavoro che la tramuta in pane, dei campi nel riposo invernale e nel rigoglioso
risveglio della primavera. Un mondo rurale antico, con volti scavati dal sole
nello sfondo dei campi gialli di messi generose.
I colori di Seuni e della
Trexenta, che riecheggiavano quelli dell’Ogliastra e di Ierzu, che portava nel
cuore e rendeva visibili, vivi e palpitanti con la magia delle sue tele.

La chiesa di santa Vittoria raccoglie tutto il borgo.
E’ una chiesa semplicissima
uscita dal disegno di un bimbo: una sola navata con due cappelle laterali, con
statue minuscole, recenti ma di eco Seicentesca napoletana. L’altare ha marmi
dell’Ottocento su cui poggia una statuetta colorata di santa Vittoria, patrona
di Seuni. Ai lati dell’altare due quadri di Luigi, generoso con la chiesa del
paese che lo ha accolto come un figlio.
Il rito funebre e’ intenso. Qui la
gente prega ancora a voce alta, si rivolge a Dio con la confidenza e l’affetto
di figli devoti. Da una cappella si levano alti e suggestivi i canti di un coro
accompagnato dalla musica di un piano, suonato da un ragazzo abilissimo.
Il prete ha il piglio di un leader…parla veloce, durante la consacrazione
innalza l’ostia come se fosse una spada, si muove nel presbiterio aiutato da una
chierichetta minuscola che scompare dietro l’altare sbucando solo per un
nastrino rosso sulla fronte.
Il vangelo ricorda Mose’ che ammonisce le dodici
tribù ad adorare il solo Dio, abbandonando gli idoli. Il popolo eletto si era
perso e doveva tornare sulla retta via. Capita a tutti di smarrirsi, ma anche
nelle notti più scure c’è un lume che ci rida’ la speranza.
Guardo i familiari di Luigi, che siedono nel primo banco.
Si’, hanno bisogno di speranza in
quest’ora cupa e piena di dolore.
Sentono l’affetto di tutto il paese, che
accompagna Luigi al camposanto, appena lontano.
Un paese buono, riservato,
discreto. Come zia Rita, che ha avuto moltissimi figli e ci offre un caffè
ricordando Luigi, che abitava nella casa di fronte e la considerava come una
mamma…e lei contraccambiava quel figlio buono che oggi non c’è più.
Zia Rita non piange. Ma lo ripete più volte: Luigi veniva a trovarmi sempre, mi sentivo
protetta, non sarà più come prima. Nell’ampio soggiorno, nessuno risponde. Si’
non sarà più come prima. L’assenza ha la tristezza dell’abbandono, di una voce
che scompare.

Il paese e’ circondato da un orizzonte rossastro mentre andiamo
via.
Le stelle cominciano ad apparire dietro il profilo del nuraghe Piscu.
E’ l’Universo, che ci ricorda il nostro destino di uomini illuminato dalla
bellezza, dai colori, dalla vita dei campi, dagli affetti; e dall’arte, dalla
poesia e dal racconto…come quelli di Luigi. che riposa nella quiete serena del
cimitero silenzioso tra i campi.

Tonino Serra per Medasa.it

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