Abbiamo incontrato il grande contrabbassista Furio Di Castri al 42° Festival Internazionale di Jazz in Sardegna European Expo  durante la presentazione del libro dedicato al principe Pepito Pignatelli, nobiluomo che ha dato vita e impulso alla scena romana del jazz italiano  fin dai tempi della nominata Dolce Vita della capitale. La lunga carriera jazzistica di Furio Di Castri lo annoverano tra i più grandi contrabbassisti italiani. Oggi l’artista è anche Direttore del Dipartimento di Jazz del Conservatorio Paganini di Genova dal 2018. È  inoltre docente di contrabbasso e musica d’insieme al Summer Jazz workshop di Siena Jazz dal 1990.

Come artista jazz ha vissuto un periodo particolare negli anni settanta dove lo slogan era di portare la fantasia al potere, con una gioventù che aveva voglia di creare, mentre oggi è un docente e artista alquanto affermato. Quanto è cambiato e se oggi abbiamo la possibilità di riportare in auge un po’ di fantasia?

È un lavoro difficile nel senso che io sono l’ultimo di quella generazione che ancor prima di me. artisti come Enrico Rava, che ha circa dieci anni più di me, iniziarono questo percorso del jazz italiano. Oggi sta a noi portare queste testimonianze perché il mondo di oggi si sviluppa ad una velocità con uno scambio di informazioni così rapido che da un lato rappresenta una enorme risorsa per i giovani, ma al tempo stesso toglie il mistero e la magia di scoprire le cose e di viverle in prima persona. Ma non solo di doversele andare a cercare è tutto lì.

Un nostro grande giornalista, Alberto Rodriguez, portò le nuove tecnologie e favorì la crescita e la divulgazione del jazz nella nostra isola creando dei ponti con il “continente”. È vero che la tecnologia permette alla musica di evolversi, ma porta anche ad una chiusura.

Questa è una riflessione etica abbastanza importante, cioè quanto l’innovazione tecnologica prova dei cambiamenti nel campo dell’arte o quanto le novità dell’arte implicano un’innovazione tecnologica. E questo se andiamo a guardare la storia e l’evoluzione degli ultimi secoli, come quanto l’invenzione della radio ha contribuito alla diffusione della musica, quanto stesso ha poi influenzato la creazione dei dischi, e a sua volta la durata dei dischi che ha cambiato molto rispetto alle performance facendo musica dal vivo, la televisione i media, ecc., quanto una cosa ha influenzato l’altra. Poi ovviamente dobbiamo tenere presente l’accelerazione che c’è stata negli ultimi decenni che è impressionante rispetto all’ultimo secolo, quindi è un po’ difficile valutarlo. Le tecnologie sono fantastiche, però il fatto di avere degli studenti che ascoltano un pezzo e usano Shazam per capire il titolo del pezzo, però non sanno chi l’ha scritto, chi lo sta suonando, ecc.

Manca la memoria storica?

Esatto, e manca la curiosità. Arrivano direttamente all’obiettivo che poi è una cosa che fa parte di un sistema educativo inquinante. Se pensiamo al sistema educativo americano è specializzato. Un ingegnere sa costruire una bomba nucleare e magari non sa cambiare una lampadina a casa. Da noi la forma di cultura è tendenzialmente più ampia. Siamo meno specialisti fin dall’inizio. Ovviamente i giovani che fanno musica oggi e suonano jazz e che hanno tutta questa quantità di materiale a portata di mano, senza uscire di casa senza prendere un treno, e dover andare a Roma, per dire, gli manca quel contatto umano che ebbe la mia generazione. Ma soprattutto devono trovare dentro sé stessi la capacità e la curiosità di andare a scoprire.

Ciò che possedeva la vostra generazione?

Si. Noi compravamo un disco, lo ascoltavamo decine e decine di volte e dalle informazioni della copertina indagavamo. Era una scoperta progressiva. Se noi oggi dessimo a tutti gli studenti del liceo a disposizione tutta la storia della letteratura, la biblioteca più grande del mondo online, un ragazzo di diciannove anni andrebbe a leggersi Dante? No partirebbe da quello contemporaneo. Questo è il pro e il contro della situazione attuale.

 

 

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