medusa


 

Suggestioni
(dedicato agli amici che, con i Fuochi dei nostri padri,
onorano la conoscenza del nostro passato)

La zattera



Quando l'editore mi
chiese di suggerirgli la copertina di un mio libro sulla "Violenza in
Ogliastra", gli mandai la riproduzioni di due tele di Gericault: le teste di
alcuni decapitati sulla ghigliottina e la Zattera della Medusa. Immagini
violente, scioccanti, ma il libro descriveva la ferocia della giustizia spagnola
e sabauda e mi sembravano indovinate. Ma le immagini si sviluppavano in
orizzontale e, siccome la collana dei saggi aveva le immagini di copertina in
verticale, l'editore decise per un quadro di Goya sul processo alle streghe.
Capii e condivisi.

Gericault e' uno dei miei pittori preferiti, perché e'
diretto, crudo, sapiente nell'uso dei colori e dei chiaroscuri. Amava i
cavalli...morì per i postumi di una caduta rovinosa durante una galoppata...e me
lo fanno amare di più i perfetti disegni di questi nobili animali.
Ho visto
Gericault decine di volte; credo di non aver mai lasciato Parigi senza andare a
rivederlo al Louvre, a sedermi sulla panca in pelle di fronte ai suoi quadri e
perdermi nei suoi racconti di eccelso pittore.
Vicinissimi, nella stessa
vastissima sala, sono esposti i bellissimi quadri di David...Marat colpito da
Carlotta Corday, Napoleone che attraversa le Alpi...ma nulla mi attrae più dei
quadri di Gericault. Nulla che mi coinvolga più del quadro che fissa un momento
tragico della storia della marineria francese: nel 1816, la Francia, ancora
sotto shock per il tramonto tragico della stella napoleonica, fu sconvolta
dall’affondamento della nave francese "Medusa" e dal destino dei naufraghi, che
si rifugiarono su una zattera e restarono abbandonati alle onde del mare per
diverse settimane. Gli sfortunati occupanti di quella zattera vissero una
esperienza terribile, che condusse alla morte la gran parte di loro. Solo una
quindicina di uomini furono tratti in salvo da una nave di passaggio, dopo che
su quella zattera era avvenuto di tutto, anche fenomeni di cannibalismo.
Era
la Francia sconfitta che riviveva in Gericault le proprie angosce e i propri
fantasmi.
La zattere era l'emblema del naufragio di una nazione e del suo
sogno di grandezza: dall'esaltazione eroica del «Il giuramento degli Orazi» di
David, al fallimento imperiale della «La zattera della Medusa».

Non penso ai
francesi davanti al quadro. Penso alle tragedie dell'uomo, al suo
destino.
Un'intera parete mi rimanda volti di vivi e di moribondi, di disperati
e di uomini tenacemente legati alla vita e decisi difenderla. Di uomini che pur
di non morire si nutrono dei cadaveri.
La zattera e' sospesa in una mare
verdastro, tra onde alte e minacciose, con una vela di fortuna squassata dal
vento. E su di essa una ventina di naufraghi coperti da pochi, miserabili panni,
provati dalla fame e dalla disperazione. A sinistra, tra i morti, siede in
orribile contemplazione di quella tragedia un personaggio quasi biblico, un
patriarca che abbraccia un corpo nudo, forse un fratello, forse il figlio...così
immagino il conte Ugolino nella Torre della Fame di fronte ai cadaveri dei suoi
figli. Ma a destra il quadro e' animato da corpi agitati dalla speranza, in
ginocchio e in piedi, una piramide di condannati che spingono in alto uno di
loro, che agita un panno rosso, mentre ai suoi piedi un altro si solleva con
sofferenza agitando un panno bianco...perché in lontananza hanno scorto l'albero
di una nave, la loro salvezza dopo quell'inferno.
Solo l'albero della nave, che
spunta nel fosco orizzonte di un liquido inferno dantesco. Conosco gli schizzi
del quadro, les esquisses...in tutti, Gericault mantiene fermo il personaggio
che si tiene la testa tra le mani tra i cadaveri, ma la folla dei naufraghi che
hanno avvistato il veliero che potrebbe salvarli, cambia, sempre, con i più
forti tra loro ad agitare i panni, a segnalare la loro presenza tra i gorghi. I
morti sono dimenticati, e contrasta con i volti dei cadaveri, che sembrano
quelli dei ghigliottinati, quello di un naufrago che indica la nave lontana,
incoraggiando i suoi compagni. I colori, le figure sono quelli di un tragico
coro greco, teso nella remota domanda di aiuto ad un Dio lontano. Gericault sa
come toccare le emozioni umane, sa rendere la paura e l'angoscia...ed e' per
questo che nel quadro definitivo toglie il veliero, che negli schizzi si vede
preciso all'orizzonte, lasciando solo il pennone lontanissimo...una linea appena
più visibile sul mare verde, su cui si concentrano gli sguardi dei
naufraghi.

Anche Vito Tongiani ha disegnato una zattera simile per la
copertina della "Lettura" del Corriere della Sera del 22 febbraio scorso. Una
zattera piena di nuovi naufraghi, che fuggono dalla fame e dalle guerre in un
mondo geograficamente vicinissimo che ci pare invece alieno, del tutto superato
dal nostro. Corpi diversi o ancora vivi, tratteggiati con linee secche e con
colori violenti, come la loro esperienza drammatica...e senza speranza, perché
nulla si vede all'orizzonte. Una zattera senza salvezza, destinata ad affondare
nel Mediterraneo con quelle anime perdute.
Tongiani non ha l'ottimismo, la
pietà di Gericault.
Disperati in cerca di salvezza, come gli albanesi nel film
"LAmerica"di Gianni Amelio,1994, con Enrico Lo Verso e Michele Placido
indimenticabili.

Capita a tutti di salire su una zattera.
Per raggiungere la
salvezza, ma anche per fuggire dalla terraferma e vivere il sogno, raggiungere
altri lidi, conoscere altre genti, sentire nuovi linguaggi e assorbire
conoscenze mai esplorate.
La zattera per riconquistare ciò che si e' perduto:
il proprio villaggio, i propri affetti.
La zattera come simbolo di un incontro
unico, imprescindibile ed irripetìbile nella vita dell’uomo: quello tra se
stesso e l’ignoto mare della vita.

La zattera e' anche il simbolo del
ritorno.
Ulisse non riesce a tornare ad Itaca, dalla moglie Penelope, dal
figlio Telemaco, dal padre Laerte. E' prigioniero dell'amore di Calipso
nell'isola di Ogigia, ma quando gli dei decidono di liberarlo perché il Fato si
realizzi, la ninfa non può opporsi e, carica di angoscia, va a informare l'eroe
della decisione degli dei...può tornare a casa...
.......Trovollo assiso
Del
mare in sulla sponda, ove le guance
Di lacrime rigava, e consumava
Col
pensier del ritorno i suoi dolci anni.

In preda alla frenetica ansia di
partire, Ulisse costruisce una zattera...
venti distese al suol arbori
interi
Gli adeguo', li poli', l'un destramente
Con l'altro
pareggio'......

...e parte verso l'avventura del ritorno verso il passato,
che e' anche il futuro. Ucciderà i Proci, riconquisterà' il regno e la sua
Penelope. Ma poi ripartirà, lasciando la pace del focolare per cercare altre
esperienze e morirà nell'ultimo tentativo di sfuggire al mondo conosciuto, oltre
i limiti del mondo che pure ama...vola verso la Spagna, il Marocco, l'isola dei
Sardi, sempre più a ovest, oltre la montagna di Atlante e le colonne
d'Ercole...incoraggia i compagni paurosi, come millenni dopo avrebbe fatto
Colombo trascinando la ciurma ribelle verso il Nuovo Mondo, ammaestrandoli sul
destino degli uomini:
Considerate la vostra semenza
Fatti non foste a vivere
come bruti
Ma per seguir virtute e canoscenza .

Ma quando all'orizzonte si
profila "la nova terra" un vortice, un "turbo", cattura l'imbarcazione di
Ulisse, la fa girare tre volte e alla quarta la precipita negli
abissi.

Quante zattere ci hanno fatto sognare nella nostra infanzia, quante
ne abbiamo costruito a Museddu durante le colonie col parroco, sognando di
avere al nostro fianco il cavaliere Emilio di Roccabruna...quello che diventò il
Corsaro Nero per vendicare la morte dei fratello maggiore, ucciso a tradimento
da Wan Guld, governatore di Maracaibo, e che, innamorato di Honorata,
l'abbandona su una zattera appena scopre che e' la figlia dell'assassino, non
solo del fratello più grande, ma che di altri due fratelli...il Corsaro Verde ed
il Corsaro Rosso.
Una zattera ci portava al centro della terra, nel romanzo di
Verne in cui Otto Lidenbrock, rinomato professore di mineralogia di Amburgo,
guidato da un'antica pergamena penetra nel centro della terra col nipote Axel
attraverso un vulcano islandese...e troveranno un mondo parallelo fermo alla
preistoria, abitato da mostri orribili che si uccidono tra loro...un ittiosauro
e un plesiosauro, cento anni prima del film Jurassik Park di Spielberg.
E
altre zattere ci portano verso l'avventura...come quella di Huckleberry Finn e
Jim, nei libri di Mark Twain; o come la Kon Tiki, con la quale Thor Heyerdhal
affronta il Pacifico per provare che le popolazioni amerinde provenivano dalla
Polinesia.

La psicoanalisi interpreta la zattera come la nostra coscienza
circondata dall'oceano oscuro, dove vivono nel buio le nostre paure e un mondo
sconosciuto, che sfugge alla ragione e vive di incubi. Come in Gericault la
zattera e' in preda al mare tumultuoso, ma e' con la zattera che possiamo
prendere il largo, verso l'alto mare, dove l'orizzonte e' ampio e ha un respiro
immenso, che poi si apre verso una nuova terra, verso la conoscenza e la
coscienza di se'.

Tonino Serra per Medasa.it

 

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